SAN CRISTO
Storia e restauri della chiesa e del convento




 

I GESUATI.

Nati come libero movimento laico, vennero fondati tra il 164 dal mercante - banchiere senese Giovanni Colombini. La conversione dell'influente personaggio avrebbe fatto seguito a quella della moglie, dopo l'occasionale lettura della "Vita" di S. Maria Egiziaca: così riferisce il biografo Feo Belcari (184). L'esempio della peccatrice egiziana, ritiratasi a vita eremitica, si era accompagnato a lunghe meditazioni, severe penitenze e pubbliche flagellazioni, come si usava in quei tristi tempi da poco tempo usciti dalla dolorosa esperienza delle peste nera del '48 (vedi il Boccaccio nel Decamerone) e ancora dentro la crisi istituzionale del Papato Avignonese.
Il suo esempio viene presto seguito da altre persone della città e del contado che si dedicano in animo lieto, sull'esempio di S. Francesco, alla cura dei malati e dei poveri, praticando il Vangelo in santa semplicità. Predicavano la pace, la povertà, la somma umiltà, gridando a tutti il nome salvatore di Gesù, da cui il nome Gesuati. In tempi in cui la teologia di Nicolò Cusano sottolineava il tema della docta ignorantia, rifiutavano la speculazione teologica e metafisica per guadagnare la sapientia crucis, praticavano una spiritualità ordinaria fatta di preghiere semplici e ripetute come il Pater e l'Ave Maria, non abitavano in conventi, né ubbidivano ad un superiore fisso. Imitando Gesù e San Francesco, in spirito di umiltà non accedevano al sacerdozio. Oltre alla preghiera, si applicavano ad attività pratiche, come la pittura, la miniatura, l'arte campanaria e delle meridiane, la falegnameria, la vetreria e la questua, ma soprattutto la raccolta e la distillazione delle erbe per la cura dei malati.

La gente è colpita dall'allegria fanciullesca dei nuovi poveri per amore di Gesù, che percorrono il territorio, tra balli estatici e canti di lode al Signore, gridando a mo' di litania "Gesù, Gesù". Nella primavera del 1367 il Colombini, già malato, temendo per sé e per il futuro dei suoi seguaci, con 70 confratelli raggiunse a Viterbo Urbano V in cammino da Avignone a Roma e, dopo lunghi esami da parte di una apposita commissione inquisitoriale, ottenne per la propria forma vivendi una approvazione orale dal Sommo Pontefice. Unica condizione richiesta dal Papa era che, deposti gli stracci, rivestissero il bianco saio dei penitenti volontari con cappuccio sopra mantello bigio, e prendessero fissa dimora in case comuni. In ogni caso niente tonsura clericale, né regola scritta, né superiori: restavano dei laici, riuniti in fraterna brigata, paternamente guidati dal Colombini e dai suoi successori. Convivevano in piccole comunità, liberamente associati, prestando obbedienza volontaria ad un priore. Canonicamente erano soggetti ai parroci e ai vescovi, senza esenzione alcuna.gesuati.jpg (32434 byte)
Tutto questo li distingue dal movimento francescano, ma li accomuna anche ad analoghe costumanze fraticelliane che intorno al 1425 convogliarono sui "laici bianchi" molte ostilità con gravi accuse di fraticellanesimo: Esaminate dal severo certosino Niccolò Albergati, arcivescovo di Bologna, furono giudicate infondate. In ogni caso, nell'aprile dell'anno successivo, il gesuato Giovanni Tavelli da Tossignano - vescovo di Ferrara, più tardi beato e ivi sepolto in Duomo - viene incaricato di elaborare delle costituzioni, cui egli darà il nome di "ordo et forma morum quos et per consuetudines observat congregatio pauperum qui vulgariter Gesuati nuncupantur". Ispirata in parte alla tradizionale Regola di S. Agostino, ma soprattutto a quella benedettina, questa Regola vera e propria farà evolvere il movimento da semplice fraternità a congregazione nel corso del XVI secolo.

Il Quattrocento conobbe la massima fioritura dei Gesuati, i quali adottarono nel frattempo il simbolo di S. Bernardino da Siena, il sole dai dodici raggi, simbolo di Cristo luce del mondo insieme agli Apostoli. Ai 10 conventi fondati nel '300 se ne aggiunsero altri 10, come Tolosa (1425), Verona (1428), Padova (1432), Pisa (1434), Treviso (1437), Montenero di Livorno (1442), panorama.jpg (32700 byte)Vicenza (1445), Roma (1454), Milano (1458), Brescia ( 1467), Piacenza (1467) e Cremona (1477).
Tale espansione subì in seguito un significativo rallentamento: otto conventi nel '500, quindi due soli nel '600. Malgrado questo declino, con i suoi complessivi 34 conventi, la Congregazione costituì un fenomeno non trascurabile nel dibattito religioso tra Medioevo e tempi moderni.
Il 6-12-1668 Papa Clemente IX, della famiglia Rospigliosi, con la bolla " Romanus Pontifex" sopprime l'ordine dei Gesuati, su istanza della Repubblica Veneta, vogliosa di impadronirsi dei beni di questa e di altre congregazioni, per far fronte ai debiti contratti nelle guerre contro i Turchi. Tra i motivi adotti, il calo di vocazioni con conseguente svuotamento degli edifici, le discordie all'interno della congregazione tra laici e sacerdoti nel frattempo aggregatisi, non ultimo le notevoli ricchezze che la distillazione delle erbe aveva permesso di accumulare. A Brescia erano conosciuti come i frati dell'acqua, di quell'acquavite prodotta nel locale, oggi portineria, sovrastante il cortile della ricreazione delle Benedettine, le quali a buon diritto presentarono protesta presso l'autorità civile.

NB. Nel 1668 vennero soppressi in Brescia anche gli ordini religiosi di S. Giorgio in Alga (S. Pietro in Oliveto), di S. Salvatore (S. Afra), dei Gerolamini (alle Grazie). Nell'anno seguente i Carmelitani acquistarono S. Pietro in Oliveto e gli zoccolanti francescani entrarono in S. Cristo.

LA FAMIGLIA MARTINENGO.

Già nel 1450 Antonio I, figlio di Giovanni Francesco Martinengo del ramo di Padernello, offre ai Gesuati riuniti nel Capitolo di Firenze un luogo in Brescia che viene rifiutato: " per ora si sospendesse, remissero in Antonio, se gli paresse de andare a vedere il sitto e 'l luogo et sospendere per ora et ringraziarli".
Il terreno d'Antonio fu accettato nell'aprile del 1467 dal Capitolo di Ferrara insieme con una donazione di 500 ducati sempre da parte dello stesso nobile
Del 1468 è un contributo comunale per la fabbrica del monastero dei Gesuati, annesso alla chiesa, attestato dagli " Indici Poncarali " sul luogo in cui esisteva prima il monastero femminile delle canonichesse di S. Agostino.
Nel 1471 si ha notizia della chiusura di un terreno verso S. Pietro in Oliveto. Il 13 ottobre 1473 Antonio Martinengo muore e nel testamento ordina e vuole che il suo corpo sia riposto nella chiesa del Corpo di Cristo " per ipsum fabbricata ante primum et principalem altarem&".
Il giorno di S. Rocco del 1471 si ebbero due scosse di terremoto, seguite da altre nella notte di S. Antonio del 1473 e ancora il 7 maggio: forse sono la causa delle crepe che si vedono attraversare la facciata dall'alto al basso, senza compromettere i pilastri laterali.
Il figlio di Antonio, Gaspare, sposo ad una delle tre figlie del Colleoni - Caterina -, morì il 14 settembre 1481, lasciando scritto nelle sue ultime volontà di essere sepolto " ante portam ecclesiae dedicatae sub vocabulo corporis Christi in citadela veteri per prefatum suum genitorem et per ipsum testatorem fabricatae". Poiché a Gaspare si riferisce direttamente lo stemma a sinistra (simmetrico a quello della famiglia Colleoni) che sta sull'architrave del portale, è da ritenersi che quest'ultimo sia stato eseguito negli anni dal 1473 al 1481. La salma di Gaspare, contrariamente al dettato testamentario, venne riposta nella prima tomba al centro della navata con l'iscrizione:

D . OP . MAX
VTINA . FATA . VENDERENT
ANIMAS . EXIMERENT
TE . QUE . CARIPENDEBAT
RELIGIO . MILITIA . RESP .

GASPAR . MARTINENG .
SECRUM . PR . IDUS . SEPT .
M . CCCC . LXXXI

 Attualmente la lapide si trova davanti alla porta di ingresso, insieme alle altre lastre tombali, proprio come aveva voluto il testatore.
Nel 1502 muore Bernardino, fratello di Antonio, e viene sepolto ugualmente in S. Cristo.
Il condottiero Marcantonio, di Lodovico e Cecilia Ganassoni, giovanissimo seguì la carriera militare, fu anche architetto militare alla fortezza di Palmanova: nel maggio 1526 accorse con la cavalleria nella Lega di Clemente VII contro spagnoli e lanzichenecchi, fece prigioniero Luigi Gonzaga il Rodomonte, ma ferito lui stesso nella battaglia di Agnadello fu portato a Brescia, dove morì il 28 luglio 1526. Venne sepolto nell'artistico monumento funebre, ora passato al Museo Civico, che in verità non riporta iscrizione alcuna, il che lascia supporre che fosse il sepolcreto di tutta la famiglia.
Anche Marcantonio II di Lodovico, morto nel 1560, fu tumulato nel sepolcro di famiglia.
Murata a destra si legge ancora l'iscrizione di un altro Martinengo dei conti Palatini, Teofilo di Ercole, morto nel 1565. Si legge:

 

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Nell'anno 1633 varca la soglia terrena Andrea di Antonio II del ramo di Padernello e la salma è accolta sempre in S. Cristo.



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