SAN CRISTO
Storia e restauri della chiesa e del convento



FRA' BENEDETTO DELLA FAMIGLIA DEI DA MARONE.

 

Assai conosciuto in ambito bresciano è Pietro da Marone, per le tele ad olio che fanno bella mostra di se nelle chiese del capoluogo e della provincia. Definito da O. Rossi : "polito e leggiadro pittore de nostri tempi, c'ebbe il padre e uno zio frate gesuato ambedue pittori anch'essi ", egli è chiaramente il nipote di fra' Benedetto e non lo zio, come si trova frequentemente scritto.


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  La famiglia "da Marone" ha dato artisti di notevole pregio, che conosciamo a partire dai tre fratelli:

- Raffaele, diventato frate olivetano nel convento di Rodengo dove eccelse nell'arte dell'intarsio. Ci lascia il preziosissimo leggio del coro dei frati, attualmente in Pinacoteca. Altri lavori sono a Monte Oliveto Maggiore, citati con plauso dallo stesso Vasari.
- Andrea, amico del Poliziano e del Ficino, fu alla corte di papa Leone X e di Clemente VII, lodato come "incredibile fenomeno" per la vena poetica e il dono dell'improvvisazione.
- Pietro "marengonus" e intagliatore, meno abile del fratello Raffaele, padre di due figli, che sono Paolo e Andrea detto da Manerbio . Quest'ultimo iniziò la pittura come garzone nella bottega degli Zambelli ed è il padre del più famoso Pietro (125) all'origine della confusione suddetta.

 

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Il figlio del primo Pietro, cioè Paolo, ci interessa, perché dal 1550 in poi cambia il nome in Fra' Benedetto, entrando a far parte della comunità dei Gesuati .Alcune date rendono conto del suo iter artistico:

- 1556 appare attivo a Milano.
- 1560 risulta abbia terminato il ciclo pittorico del beato Colombini nei chiostri dei Gesuati a Bologna.
- 1561 forse viene segnalato per lavori nel convento di S. Bartolomeo in Monte di Verona.
- Il 20.12.1562, 13.4.1563; 21.6.1563; 7.2.1564; 29.7.1566 ; 6.8.1568 è presente in Brescia, dove secondo il Dufner completa gli affreschi nel 1565.
- Nel 1571 è a Ferrara per un ciclo in dodici episodi sulla vita del beato Tavelli da Tossignano.
- Nel 1575 è chiamato a Siena per affrescare la chiesa di S. Girolamo dei gesuati.
- Il 27.2.1579 riappare in Brescia, come pure il 29.7.1582 per atti notarili, mentre non figura presente al matrimonio del nipote Pietro, pittore, con Olimpia Barbisoni il 2.2.1575.


Da una lettera dell'Archivio Segreto Vaticano, purtroppo senza data, risulta come zio e nipote fossero presenti a Venezia: "Noi vi mandemo uno scrito nel quale maestro Benedito confesa aver receudo da maestro Piero Maron liri sesantauna et soldi tre L.61:3, el quale scrito mi pare abi scrito uno Antonio da Rovigo con volontà de M.Piero et de Benedecto&".
giudizio.jpg (39387 byte)Espressione del manierismo dell'epoca, da inizi romaniniani accoglie elementi dai fratelli Campi di Cremona, ma soprattutto da Giulio Romano, che imita nelle teatrali architetture prospettiche; altre volte però riesce ad essere autentico nella descrizione realistica dei volti, come nel Gesù fra i dottori, oppure suggestivo, come nelle figure svolazzanti della volta, che sembrano uscire dagli schemi dei festoni floreali. Nel catino del presbitero sa esprimere devozione nel mistero della croce, per poi esplodere sulla crociera in una ricca decorazione fitta che avvolge le scene dell'Antico Testamento a tema eucaristico. Figura quindi complessa nell'ambito dell'imitazione, dalla quale riesce anche a staccarsi e ad esprimere qualche elemento proprio che commuove e affascina. La concezione dell'insieme e il risultato finale sono ad ogni buon conto di grande effetto e riescono a suscitare quell'ammirazione, ma anche devozione all'Eucarestia, che l'artista si era proposto.

 Senza dubbio a conoscenza degli affreschi della Cappella Sistina e di quelli di Luca Signorelli nel duomo di Orvieto, fra' Benedetto riprende il primitivo progetto di Michelangelo (che poi opta per Profeti e Sibille), ponendo dodici apostoli tra i costoloni del contro soffitto. Vicino all'arco trionfale inserisce il tema del Giudizio Universale, che si incentra nella figura di Cristo Giudice sulle nubi con il braccio alzato, posto tra la Vergine e Giovanni Battista, al suono di trombe degli angeli; sull'arco dispone, a sinistra di chi guarda, i benedetti che fuoriescono da terra, tirati su da angioletti, e nell'altra i maledetti, spinti in basso da caproni demoniaci di lunghi tridenti armati. Al centro del gruppo dei Dodici campeggia, sullo sfondo di raggi di luce dorata, il grande monogramma di Cristo a caratteri latini

J H S
Jesus Hominum Salvator

centro della spiritualità dell'Ordine.

S.Matteo.jpg (67838 byte)Tutte le figure apostoliche sono accompagnate da un angelo recante il Libro della Parola di Dio, a significare l'annuncio secondo il Mandato ricevuto : "Andate in tutto il mondo e predicate&": a partire dall'arco trionfale troviamo sulla destra l'apostolo Pietro con le chiavi, Giacomo il minore con la spada (decapitato), Tommaso con la squadra (architetto di chiese), Filippo con la croce, Matteo tra due libroni del Vangelo, Simone lo zelota con la sega. Alla sinistra il primo è il fratello di Pietro, Andrea, legato sulla croce detta greca, segue Giovanni con il calice avvelenato (il serpentello), Giacomo il maggiore con la conchiglia (allusione al Santuario di Campostella vicino all'Atlantico), Bartolomeo con il coltello della scorticatura, Giuda Taddeo con l'alabarda (erroneamente indicato come Simone), infine Mattia con la scure. 

Gli archi delle pareti sono il luogo delle vite dei santi secondo il racconto fantastico della assai popolare Legenda Aurea di Jacopo da Varagine. Solo la parete sinistra si presenta completamente leggibile: a partire dall'organo si ha in successione il martirio del diacono Vincenzo di Tarragona, quello di S. Barbara con un raffaellesco notturno, quindi al centro della parete - sopra il monumento Martinengo - il gruppo di S. Girolamo, S. Francesco e Maria Maddalena in estatica visone di Cristo sulle nubi; chiude il martirio di S. Margherita di Antiochia di Pisidia con devota committente. L'affresco successivo, vicino al Giudizio, rappresenta l'estasi di S. Francesco, ma è una aggiunta a secco del periodo francescano.
Verso la porta sottostante si incontra un affresco di modesta fattura, dove una Madonna in trono è raffigurata tra S. Paolo eremita, la Maddalena e S. Maria Egiziaca, tre eremiti il cui esempio è all'origine della conversione del Colombini. Sotto il ciclo dei martiri corre una fascia di putti alternati a frutta, verdura, animali e festoni alla maniera del Mantegna. Il resto della parete, salvo il tratto non affrescato (occupato dal mausoleo Martinengo ora nelle Raccolte Civiche), presenta prospettiche vedute trompe l'oeil, tra colonne ornate a festoni sormontate da mensoloni barocchi, che servono a inquadrare due a due le ultime sei Stazioni della Via Crucis.

L'inizio di questa Via Crucis doveva senz'altro trovarsi sulla parete destra, oramai aperta sulle tre cappelle del Bagnadore. La zona sopra i vuoti degli archi non ha subito modifiche: il restauro ormai ultimato lascia vedere altre quattro scene di martirio speculari a quelle di sinistra. Si vede S. Caterina d'Alessandria con la ruota dentata, nel primo arco. Segue un affresco a secco del '600 che rappresenta un popolare episodio della vita di S. Antonio, quello della mula del miscredente ebreo che si inchina in adorazione davanti alla Eucarestia presentata dal santo: il recupero di questo affresco a secco quasi scomparso è stato assai laborioso e il risultato è tutto da vedere. Il terzo arco si pone sopra la cappella di centro e raffigura S. Lucia con la scena celebre delle quattro paia di buoi. Il quarto arco è dedicato a S. Agata, con l'episodio tipico delle mammelle strappate. Chiude l'episodio aggiunto dai Riformati di S. Pietro d'Alcantara che è ormai vicino al Giudizio. Gli affreschi intorno all'organo, Maria presentata al Tempio e Sposalizio di Maria Vergine, come altri sotto il rosone, hanno ripreso il rossastro manto ottocentesco, unico residuo della decorazione del Chimeri, così come per un brandello di volta azzurra a stelle d'oro.

EndonarteceIl sottostante Endonartece, delimitato da due colonne, presenta sugli archi esterni una triplice effigie di S. Giulia in croce, a sottolineare il legame con la sottostante chiesa benedettina, che della martire cartaginese accoglie le reliquie, qui trasportate da Adelchi, figlio di re Desiderio. Lo spazio quadripartito che ne risulta è qui abilmente sfruttato da un esperto e finissimo pittore (della cerchia dei fratelli Campi, potrebbe essere il sotto citato Gambara) a presentare al centro i Padri della chiesa occidentale (Ambrogio, Gregorio, Agostino, Girolamo) e alle due estremità quelli della Chiesa orientale (Anastasio, Basilio il Grande sulla sinistra, Gregorio Nisseno e Giovanni Damasceno sulla destra).

NativitàVicino al portale di ingresso, quattro affreschi raccontano la vita nascosta di Gesù: la Nascita e la Presentazione al Tempio da un lato, Gesù tra i dottori e il Battesimo di Cristo dall'altro, quest'ultimo irrimediabilmente privato della centralità di Cristo da un'improvvida porta laterale di posteriore apertura. Alcuni accorgimenti importanti come la luminosità che emana dalla culla nel primo o lo studio della luce nel terzo, la serie di colonne verso il punto di fuga nei fondali del tempio, come la bellezza degli angeli nella scena del Battesimo, fanno pensare all'intervento di un artista in aiuto a fra' Benedetto, forse il Bagnadore delle tre cappelle oppure Lattanzio Gambara (174), pittore alla scuola dei Campi in Cremona fino al 1550, genero del Romanino, autore tra l'altro del ciclo di affreschi nella navata del Duomo di Parma (1573). Scrisse di lui Giorgio Vasari che aveva oscurato talmente la fama del Romanino da farne dimenticare persino il nome!

AbsideIl discorso si sposta al presbiterio, luogo della celebrazione eucaristica, dove tutti gli affreschi hanno un riferimento al mistero del Corpo e Sangue di Cristo: subito a destra la grande scena della Raccolta della manna nel deserto e, sopra, diviso dalla alta finestra, Elia soccorso dall'Angelo nel deserto con pane e acqua. Sul lato opposto sono due episodi della vita di Abramo: il maestoso Incontro di Abramo con Melchisedech , quando il grande sacerdote offrì pane e vino al vincitore della guerra contro le cinque città, in alto Abramo sacrifica Isacco, episodio biblico che è simbolo e prefigurazione del sacrificio di Gesù. Nella volta a crociera sono i Quattro Evangelisti con i simboli tradizionali.
Al centro dell'abside era il grande altare di botticino del Seminario, rimosso poi con la riforma liturgica che prevede la celebrazione verso il popolo e sostituito da un altro di legno. Dietro si accompagnava il coro di legno che verrà rimesso in sede a lavori ultimati, mentre sulla parete di fondo stava nella prima metà del '500 una tela del Romanino, poi rimossa. Al suo posto c'è un crocifisso della Val Gardena in stile quattrocento. Ai lati due affreschi strappati, molto deteriorati, raffigurano la Lavanda dei piedi e L'ultima cena. Più sopra Gesù in croce tra Maria e Giovanni si pone al centro della contemplazione della assemblea orante: questa lunetta è preceduta da La caduta e La Crocifissione di Gesù e seguita da Gesù deposto dalla croce e Gesù messo nella tomba. Infine, nel catino absidale, posto tra le velature in compagnia di angioletti, un vegliardo canuto allarga le braccia nel gesto della donazione: Dio Padre offre il Figlio immolato sulla Croce, rappresentato nella lunetta sottostante.
 Pertanto siamo ora in grado di dare una sintesi del progetto iconografico di frà BENEDETTO DA MARONE: il gesto d'amore divino verso il mondo ha nell'abside il suo punto di partenza e di convergenza. Viene prefigurato negli affreschi del presbiterio dal simbolismo della manna, dagli episodi della via di Abramo, Isacco, Melchisedech, Elia. Nel contesto della crociera fittamente decorata da allegorie, da motivi floreali e grottesche questo messaggio di amore salvifico è proclamato dalla parola degli Evangelisti. I quattro episodi della vita di Gesù all'interno dell'endonartece presentano la iniziale realizzazione di questo amore, che continua e rivive nel martirio dei Santi, posti tra gli archi delle pareti. Infine al compimento dei tempi, lo scenografico Giudizio Universale che vede al centro del soffitto il monogramma eucaristico circondato dai Dodici convergere sul Cristo Giudice dell'Arco trionfale. Da notare l'assenza di episodi riguardanti la vita apostolica di Gesù. Tutto si risolve nell'umile nascondimento di Nazareth e, naturalmente, nelle scene pasquali, che per il loro significato eucaristico non potevano mancare, a significare questa predilezione per l'infanzia di Gesù nella spiritualità dell'Ordine Gesuata. In un ampio ciclo pittorico viene illustrata una sintesi, una summa dell'opera della salvezza, che può essere letta anche dagli illetterati e resa di facile comprensione alle anime semplici. Serve di spiegazione a chi non ha dimestichezza con la teologia e viene presentata alla devozione di tutti i fedeli indistintamente, per avvicinarli all'amore di Gesù. Questa pittura, che S. Gregorio chiama "il libro degli ignoranti", utilizzando il metodo didattico - catechetico, vuole proclamare la fede della Chiesa ad maiorem Dei gloriam, allo scopo cioè di esaltare il mistero centrale di Gesù, fatto carne e ancor oggi presente nell'Eucarestia. Si spiega così pienamente il titolo di chiesa del SANTO CORPO DI CRISTO.


LE TRE CAPPELLE LATERALI.

cupola.jpg (58628 byte)Secondo la tradizione furono inserite nel 1640 da Pier Maria Bagnadore ( Orzinuovi 1545/50 - dopo 1620), pittore manierista influenzato dal Moretto, giudicato povero di inventiva, ma abile nel mestiere e sapiente nell'uso del colore e della luce. E' ritenuto più grande come architetto. Dopo il Concilio di Trento, l'afflusso di vocazioni di sacerdoti tra le file del laicale Ordine dei Gesuati portò alla decisione di allargare la chiesa e di aumentare gli altari per la celebrazione delle S. Messe.

 Il Bagnadore apre nella parete di destra tre grandi archi, accesso a rispettive cappelle di cui la centrale viene esaltata da cupola e comunica con due porte alla cappelle laterali. Il vano è a pianta quadrata, gli angoli sostengono archi a tutto sesto coronati da un alto cornicione sul quale si appoggia la cupola a calotta; la luce entra dall'alto per una lanterna cilindrica alla cui sommità spicca la colomba dorata dello Spirito Santo. Dal basso le strutture a cerchio della cupola si restringono nel cannocchiale della lanterna e, allontanando il punto di fuga, creano l'illusione prospettica di superare il tetto della navata centrale.
L'altare principale, in origine occupato da una tela raffigurante il Presepio (ora in Seminario), presenta oggi un imponente altare di legno con intarsi atre tele.jpg (55715 byte) madreperla; ai lati restano le due soase destinate ad accogliere le tele a tempera grassa raffiguranti una Circoncisione e una Adorazione dei Magi, già ripulite. L'intradosso della cupola mostra velature di affreschi con Profeti e Sibille. Il restauro ormai prossimo restituirà splendore a questa cappella, sorta come un santuario, un unicum, dedicato esclusivamente alla devozione di Gesù Bambino.

La cappella di sinistra doveva essere dedicata alla Passione di Cristo, come si deduce da un affresco raffigurante Gesù deriso dai soldati e da una Crocifissione, di fattura seicentesca al centro del soffitto. Ora si presenta con un altare di legno e madreperla, sormontato da due colonne tortili reggenti un arco spezzato. che fanno da contesto alla Grotta di Lourdes
Un terzo altare di legno doveva situarsi nella cappella di destra; al suo posto c'è ora un sarcofago - reliquario, recuperato da sotto l'altare precedente e qui spostato. Porta inciso:

HIC.SS.MART - IOANNIS.PAULI.SATURINIQ. - OSSA QUIESCUNT.

 Nella volta sono affreschi di un S. Francesco glorioso su nubi in azzurro cielo tra angioletti svolazzanti da prospettiche balaustre, di gusto settecentesco.
Stando a quanto riferisce la guida del Brognoli (1826), nella prima cappella c'è un S. Antonio da Padova di Bernardino Bono, in quella di centro restano le tre tele dell'infanzia, nella terza cappella, sembra di capire, si trova sull'altare una Immacolata Concezione di Agostino Saloni, ai lati un S. Francesco di Sales di Francesco Paglia e S. Pietro di Alcantara di Pompeo Ghitti, di cui non si ha notizia.
E' assai probabile che il Bagnadore abbia curato l'architettura delle tre cappelle completando quella di centro, dedicata all'infanzia di Gesù, con le tele che già possedeva precedentemente. Sembra ormai assodato che nel cammino artistico del pittore queste tempere grasse non possono essere collocate dopo il 1580.tre magi.jpg (75964 byte) In particolare la più bella , cioè il Presepio, rimanda ad elementi della pittura emiliana, del Correggio in particolare, come si può notare nel sotto in su dei volti e nella luce che si irradia dalla culla. Delle due tele laterali sono di buona fattura i tre magi nelle variopinte vesti orientali, mentre la composizione della circoncisione denota sulla destra un gruppo di inservienti trapiantati di sana pianta da incisioni in possesso dei manieristi, nello specifico il bresciano Girolamo Muziano, attivo presso i Papi.
Per quanto riguarda l'architettura, c'è in Brescia un altro esempio del Bagnadore che ripete gli stessi schemi della cappella centrale di S. Cristo: si tratta dell'oratorio di S. Maria del Lino in piazza del Mercato, costruito nel 1608. Anche qui abbiamo la base quadrata con i lati ad arco a tutto sesto, coronati dal circolare cornicione, sul quale si imposta la calotta; la luce che penetra dalle brevi finestre della lanterna si irradia verso la base in una atmosfera mistica, che stende penombre sulle tele illustranti il mistero dell'Incarnazione.
" In ogni caso, se il Bagnadore muore verso il 1620, cade l'ipotesi delle cappelle datate al 1640, come finora è sempre stato ripetuto& Se S. Maria del Lino è del 1608, a noi pare legittimo collocare la cappella in S. Cristo nel secondo decennio del 1600, essendo questo uno schema che deriva da quello" (Luciano Anelli).


I MINORI RIFORMATI.

Dopo la soppressione dei Gesuati avvenuta il 7 dicembre 1668, al bianco abito del frati dell'acqua si sostituisce quello marrone dei figli di San Francesco. Il convento infatti è occupato l'anno successivo dai Minori Riformati, una delle derivazioni francescane della famiglia dei Frati Minori, che lo comperano dalla Repubblica Veneta e vi restano fino alla soppressione napoleonica del 1810. L'intervento dell'ordine mendicante si manifesta nell'aggiunta dei tre altari di legno intarsiato e madreperla nelle cappelle e delle tele citate qui di seguito, oramai irreperibili.

La prima cappella a destra è dedicata ai santi dell'ordine: la volta è affrescata del San Francesco in gloria, mentre alle pareti c'era una tela raffigurante S. Antonio da Padova di Bernardino Bono (Carboni 1760, Brognoli 1826, Sala 1834): questa tela esiste ancora, restaurata, presso il Missionari. L'Enciclopedia Bresciana parla di Deposizione con influssi dei Campi e di un S. Francesco e di un S. Antonio della scuola dei Procacci, quest'ultimo da riferirsi con ogni probabilità al sopra nominato Bono. L'altare in legno ha preso altre strade, al suo posto il sarcofago del '600.

sibille.jpg (71458 byte)La cappella centrale con cupola è concordemente attribuita dagli autori al Bagnadore. L'altare maggiore, privato della tela raffigurante la Nascita di Gesù, viene sostituito con l'attuale imponente di legno e madreperla, destinato più tardi ad accogliere la statua del S. Cuore di Gesù ( ora vi è quella di S. Giuseppe), segno evidente della devozione diffusasi dopo le visioni di S. Margherita Maria Alacoque (+ 1690 e beatificata da Pio IX nel settembre 1864). Si è voluto così unire alla devozione del Bambino Gesù quella del Sacro Cuore di Gesù che tanto ha amato il mondo.
A questo punto però, non si riesce a capire la compresenza di questo monumentale altare di legno, di chiara fattura seicentesca, con la grande tela della Natività del Bagnadore, che l'Odorici cita ancora al suo posto nella guida del 1883, un anno prima che la cappella fosse dedicata al S. Cuore da don Capretti.
La terza cappella mantiene negli affreschi il suo carattere di dedica alla passione del Signore, tanto che sulla volta è stata aggiunta una Crocifissione, mentre sulla destra è ancor visibile un Gesù deriso. Più tardi si parla della presenza di una Immacolata Concezione di Agostino Soloni (Carboni 1760, Brognoli 1826, Sala 1834) e di quadri laterali del Paglia, di soggetto non definito (Odorici 182). Con questo si è voluto introdurre una dedica alla Madre di Dio, venerata come Maria concepita senza peccato, anche se all'interno della chiesa c'erano già almeno due Madonne in trono negli affreschi quattrocenteschi. Questo è tanto più spiegabile, se pensiamo all'approfondimento teologico del mistero dell'Immacolata nella scuola francescana che raggiunse il suo culmine in G. Duns Scoto. Più tardi nel 1886 il Seminario di don Capretti, sempre mantenendo la destinazione della cappella al culto della Vergine, ha preferito ricordare l'evento delle apparizioni di Lourdes del 1858, per cui l'altare in legno accolse, come si vede tuttora, una grotta con la Vergine in gesso tra due tele ottocentesche raffiguranti S. Bernardetta e la basilica sul Gave.

 All'altare maggiore del presbiterio, dopo la tela rimossa del Romanino, il Paglia (1675) annota una pala su legno di Ieronimo Serijni, mentre ai lati dell'arcata maggiore (secondo Maccarinelli 1747, Carboni 1760, Brognoli 1826), si trova a destra una tela con S. Pietro di Alcantara di Pompeo Ghitti, dal lato opposto un S. Francesco d'Assisi stigmatizzato di Francesco Paglia. Viene pure annotata la presenza di una tela raffigurante San Benedetto di Giovan Battista Brentana. A meno che questi autori vogliano piuttosto alludere ai due affreschi seicenteschi, piuttosto opachi, che stanno sul secondo arco ai lati del Giudizio Universale e che raffigurano per l'appunto i due santi francescani. Il dubbio permane, poiché si ha l'impressione che questi scrittori riportano citazioni da autori precedenti, senza essersi dati la briga di verificare in loco l'attendibilità delle loro affermazioni.
Da ascriversi a questo periodo era pure il pulpito di legno scolpito con figure di santi dell'Ordine, situato sopra la targa di Theophilo alla parete di sinistra. Esso è ancora visibile in una tempera del Tagliaferri e non si capisce come don Capretti abbia potuto venderlo ai Carmelitani se, di fatto, esisteva ancora nel 1957: fu ceduto e al suo posto c'è la grata del vecchio riscaldamento. Si potrebbe ipotizzare che annesso alla cantoria esisteva un secondo pulpito. Un'ultima presenza francescana era la tomba, rimossa in seguito ai lavori del nuovo pavimento del 1997, del beato Ballardini Lodovico di Breno (179). Di origine camuna, entrato adulto tra i Minori, dopo la laurea conseguita a Brera, questo frate zelante svolse apostolato tra i calvinisti del cantone di Lucerna, subì difficoltà, percosse e villanie, quindi allontanato a viva forza dalla Svizzera si ritirò nel convento di Brescia, dove santamente morì.

 I Francescani restarono in sede fino al 1810, quando in seguito alle soppressioni napoleoniche il convento divenne proprietà demaniale. Il governo tuttavia permise che continuassero ad abitarvi i frati, l'ultimo dei quali fu ucciso dai Croati durante le Dieci Giornate (1859).



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