LA COSTRUZIONE DELLA CHIESA.
I lavori cominciano nel 1467. L'abside si presenta poligonale con contrafforti ai lati e decorazioni in cotto a falsi archetti acuti intrecciati e polilobati.
Sul lato destro si innalza il campanile in pietra nella parte inferiore, in cotto nella parte interessante la cella campanaria, di recente restauro.
La facciata, a capanna in mattone cotto con rosone circolare di pietra botticino alternato con grigio sarnico, termina con tre pinnacoli laterizi, che ricordano quelli del Carmine. La cornice è decorata da uno splendente fregio di archetti gotici in maiolica verde e gialla, proveniente dalle fornaci Martinengo di Orzinuovi, assai simile a quelle nel chiostro grande di Rodengo Saiano.
Al centro di un'alta zoccolatura di marmo botticino, recuperato in parte dal sottostante Foro Romano (vedasi in particolare le formelle esagonali del lato destro un tempo sul soffitto della cella centrale del Tempio Capitolino) si apre un portale di forme rinascimentali con ricche candelabre che si direbbero uguali a quelle della chiesa del Carmine. Anche se coevi ai marmi della Loggia e di S. Maria dei Miracoli, dove operarono i maestri comacini porlezzani, i marmi del portale sarebbero da ascriversi ai Rodari luganesi, scultori operanti nel duomo di Como. L'architrave soprastante, spezzata durante i lavori di impostazione, porta al centro il Cristo - sposo e ai lati gli stemmi delle famiglie Martinengo e Colleoni, unite sempre più strettamente da una politica matrimoniale. Basti pensare alle tre figlie del Colleoni, avute dal matrimonio con Tisbe Martinengo, andate spose ad altrettanti Martinengo.
Sopra la porta, all'interno del timpano inquadrato da leoncini, due affreschi danno colore alla facciata. Dentro la cornice marmorea semicircolare si possono ammirare due angioli adoranti l'Eucarestia, affresco attribuito alla mano di Paolo da Caylina il Vecchio. Più sopra un affresco dilavato lascia percepire una Annunciazione ai lati di una bifora con paesaggio. Non si fa menzione di quest'affresco nella letteratura antica, perché molto degradato. La corretta individuazione spetta alla dott. Lucchesi Ragni (1980), la quale si basa su un disegno conservato all'Accademia Carrara di Bergamo, ascritto con ogni sicurezza al nostro Moretto dal Ragghianti (1962). Che si tratti di un disegno giovanile si rileva dalla incertezza anatomica del braccio sinistro di Gabriele, più ancora dalla bifora sullo sfondo o le trifore ai lati di gusto bramantesco: l'intervento dovrebbe quindi collocarsi nella prima metà del terzo decennio.
L'interno ad aula unica, come tante chiese lombarde, presenta il coro ad una campata quadrata con crociera a costoloni ad archi leggermente acuti. L'abside è munita di catino a spicchi di stile tardogotico. La novità sta nella volta della navata attraversata da una fitta rete di costoloni cordonati che, partendo da sei peducci per lato s'intersecano a più riprese sullo sfondo di una volta a tutto sesto, creando degli archi acuti e spazi a losanghe, destinati ad essere affrescati. E' da sottolineare come un elemento gotico - il costolone cordonato - si innesta su una struttura che di gotico non ha più nulla: nel S .Cristo si concentra il momento critico dell'architettura quattrocentesca, che può spiegare la coesistenza di certi precoci raggiungimenti e di fenomeni ritardatari.
GLI AFFRESCHI.
Alla consacrazione del 1501 doveva essere affrescata almeno la parte absidale, dove si svolge il rito della Messa. Qualche lacerto è rimasto nella sommità dell'arco trionfale, che lascia intravedere un JHS a caratteri gotici sotto i tratti del Giudizio. Alla base invece splendono i quattro affreschi di scuola foppesca, riscoperti e restaurati dal Volpi nel 1883 su iniziativa dell'allora rettore del Seminario, mons. Pietro Capretti, quindi di nuovo ripuliti dall'ENAIP di Botticino nel 1980.
A destra, all'interno di una elaborata cornice, si può ammirare una Madonna in trono con bambino fra i Santi Rocco e Cristoforo, attribuibile al bresciano Paolo da Caylina il Vecchio, cognato di Vincenzo Foppa e con lui attivo a Pavia intorno al 1458. La scelta di questi due santi si giustifica con la presenza del grave flagello della peste per S. Rocco, e dei rischi nei viaggi derivanti dalla guerra, per il S. Cristoforo, rappresentato mentre, portandosi in spalla il pellegrino visto come Gesù bambino, sta guadando un corso d'acqua.
Più sotto un S. Girolamo penitente, in un deserto di rocce con il fedelissimo leone, siede a lato di una grande Croce, sullo sfondo di un fantastico paesaggio lacustre: con la mano destra stringe una pietra al petto e con la sinistra mostra un cilicio di sassi, per terra il purpureo cappello cardinalizio (!) manifesta la sua qualifica di dottore. A destra, simmetricamente, un ascetico Vescovo, la testa in dorata aureola a raggiera, prega in ginocchio, avvolto nella divisa bianca con mantello. L'iscrizione soprastante rimanda al beato Giovanni Tavelli da Tossignano, vescovo di Ferrara e redattore della Regola dei Gesuati. L'autore di questa armonica composizione sarebbe con ogni probabilità Paolo da Caylina il Giovane che opera già nel ' 500, autore con il Ferramola degli affreschi nel coro delle monache della vicina S. Giulia.
Spostandoci all'altro lato dell'arco, ecco una struggente Madonna in trono tra due Santi: a sinistra con il coltello in mano è l'apostolo S. Bartolomeo in ricordo della omonima cappella demolita; a destra una figura eretta di santo indicato più sotto come B. JOHANNES &indecifrabile (in passato letto come G. P. da Cemmo, a cui fu erroneamente attribuito) da riferirsi con quasi certezza al beato Giovanni Colombini, qui rappresentato a mani giunte, il capo in aureola dorata, abito bianco e mantello camelino, come prescritto dal Papa. La Vergine in trono, inserita entro un arco abbellito di una Annunciazione, tiene sulle ginocchia il Cristo morto nell'atteggiamento della Pietà, impostata secondo lo schema iconografico nordico del "Vesperbild", assai vicina nei tratti al cosiddetto maestro di Nave nella pieve della Mitria. Con tutta probabilità l'opera è da attribuirsi al carmelitano Girolamo da Brescia, attivo fino al 1520 il quale, ad elementi tipicamente bresciani e foppeschi, unisce altri derivati dal toscano Ghirlandaio.
Chiude la serie dei quattro affreschi l'Adorazione del Bambino, pesantemente restaurato nella parte superiore, con squarci di vuoto, il cui stile è accostabile alla cultura cinquecentesca del Ferramola. Alle figure di Maria e Giuseppe unisce a sinistra, fuori della scena centrale, l'immagine dell'apostolo Pietro, in veste di pellegrino, a ricordo dell'omonimo convento di S. Pietro in Ripa, del quale al tempo ancora esisteva la cappella nell'ortaglia retrostante.
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