LE QUATTRO DIMENSIONI DELLA RESISTENZA

di Riccardo Petrella

La fase della denuncia è passata. Non possiamo più accontentarci di denunciare la globalizzazione: dobbiamo passare alla fase dellazione. Ringrazio perciò Missione Oggi che ci offre questa occasione per verificare in che misura siamo pronti a passare allo stadio dellinnovazione. Perché la denuncia è, tutto sommato, facile: ma quando si passa alle alternative, quando bisogna agire è difficile. Non perché siamo indecisi, o meno capaci. Ma perché trasformare la società significa trasformare lordine del potere, delle relazioni, il senso dellamore e dellodio, trasformare il modo in cui vediamo laltro. Lalternativa è sempre dolorosa nel senso che bisogna modificare, bisogna cambiare. Il cambiamento, anche se annuncia dei benefici, ha sempre dei costi; ed i costi sono sempre a breve termine mentre i benefici sono a lungo termine. E quando dobbiamo "fare il bilancio", non sempre siamo capaci di misurare in modo corretto i benefici, che non abbiamo ancora, mentre i costi sono chiari. Ecco perché è difficile cambiare, anche solo "pensare" lalternativa. Dato il tema del convegno "resistenze in dialogo" cercherò di esporre in questa prima relazione alcune piste sul "come" pensare la resistenza e quindi lalternativa.
La resistenza alla mondializzazione oggi va pensata rispetto a quattro grandi dimensioni che non sono i quattro ambiti dei gruppi del convegno ma come si vedrà il percorso si ritrova.

INEVITABILITÀ DELLA MONDIALIZZAZIONE?
La prima dimensione è pensare la resistenza in funzione della pretesa dellinevitabilità della mondializzazione.
Quello che sorprende maggiormente quando affrontiamo questi temi è la pretesa dellinevitabilità del processo in atto. Il sistema dominante ci dice che quello che sta succedendo oggi era inevitabile, è inevitabile, sarà inevitabile. E questo ci mette in situazione di "cultura dellimpossibilità dellalternativa"; perché se è inevitabile noi non possiamo "andare contro". Linevitabilità dei processi attuali, che appaiono ogni giorno nei quotidiani e nel linguaggio dei politici, non è poi così debole o astratta. Si fonda sulle alcune affermazioni che solo apparentemente sono evidenze.
La prima è laffermazione che linevitabilità è il frutto dei progressi scientifici e tecnologici. È impossibile andare contro al progresso tecnologico, dalle comunicazioni a internet, soprattutto ora che la cultura occidentale è una cultura tecnoscientista. Occorre perciò, in primo luogo, liberarci di questa convinzione plurisecolare che la scienza e la tecnologia siano fonte di libertà, quasi unoccasione di "liberazione divina".
La seconda è laffermazione che la mondializzazione è il simbolo di libertà. Un "mondo unico" significherebbe aver fatto esplodere le capacità di libertà al di là delle frontiere, dei localismi e dei provincialismi: quindi ci viene detto vedete come è fantastico, e voi siete contro la libertà? E perché non volete permettere la delocalizzazione e lottimizzazione dei fattori di produzione in modo che si possa dare libertà a tutti di accedere ai beni e ai servizi che oramai rappresentano il progresso della scienza e della tecnologia? Occorre perciò prepararci a rispondere e a resistere a queste domande che solo in apparenza sono vere.
Terza affermazione a sostegno dellinevitabilità è il grande discorso sullefficienza. E chi oggi può essere contro lefficienza? Quando ci viene detto che questo processo aumenta le possibilità di produrre ricchezza, beni, servizi materiali e immateriali come la conoscenza, come possiamo essere "contro"?
E lultima "grande ragione" che ci viene ogni giorno raccontata è lottimizzazione del valore. Oggi ci dicono che la nostra è una società che cerca di "ottimizzare il valore" in ogni sua attività. Il discorso della creazione del valore è diventato il principio fondamentale. E il valore oggi non può essere misurato che in funzione del valore delle obbligazioni, dei titoli di credito, delle azioni. Il "valore mondiale" sarebbe perciò lespressione di questo progresso della scienza, simbolo della libertà, che è riuscita ad ottenere la maggior efficacia. E tutto questo processo libertà, scienza, efficacia è per far valore.
La prima resistenza, quindi, che dobbiamo mettere in atto è la resistenza a questo "pensare" linevitabilità. E non è facile. Come dire alloperaio, che ha lavorato 35 anni e ha messo da parte un po di risparmi perché forse non gli daranno più la pensione, che gli stanno raccontando barzellette? Lui è convinto che deve fare polizze private per integrare la sua pensione e non ci ascolterà. E che credibilità possiamo avere quando proponiamo di inventare un sistema di pensioni mondiale basato sul principio della ripartizione e non sulla capitalizzazione privata? È difficile, ma non significa che non si debba fare.

IL PENSIERO DELLA MONDIALIZZAZIONE
La seconda dimensione, in cui va considerata la resistenza, è proprio il pensare stesso della mondializzazione. Perché quando oggi si dice che siamo entrati nell"era della mondializzazione" e già vedete che noi stessi utilizziamo questa categoria abbiamo in un certo senso accettato che siamo in unera nuova e labbiamo accettato acriticamente. E quando diciamo che dobbiamo resistere alla mondializzazione, di fatto diciamo che dobbiamo resistere a tre-quattro realtà diverse. E cioè:
In primo luogo, la denazionalizzazione. Per cultura, per linguaggio quando parliamo di mondializzazione diciamo post-nazionalizzazione. Il fatto che siamo nellera della mondializzazione significa che siamo nellera post-nazionale. Non abbiamo qui il tempo di discutere cosa significa post-nazionale rispetto a modernismo, modernità, post-modernità ma tutto questo discorso è legato. Post-nazionale significa che la storia dei fatti nazionali, della comunità nazionale, della memoria nazionale è ormai passata e saremmo entrati in un logica di denazionalizzazione della storia, perché ormai la condizione umana è mondializzata. La storia nazionale sarebbe cioè giunta alla fine o allesaurimento.
Per poter affermarsi questa mondialità deve negare la nazionalità e la nazione. Ma poiché la nazione non esiste e lo vediamo in vari casi ad esempio con i Curdi se non legata allo stato, ciò significa affermare la storia del "post-stato nazionale". Negli ultimi due-tre secoli, lo stato nazionale è stato lespressione del diritto, dellautorità legittimata attraverso i meccanismi di rappresentazione. Quindi quando si dice che siamo in una fase "post-nazionale" si intende anche una seconda realtà: una fase post-stato, post-statale, quindi "post-società di diritti" quali espressi dallo stato democratico rappresentativo. Incidentalmente notiamo che nasce da qui la "reazione" di tutti coloro che, non volendo perdere la propria identità culturale, attuano una identificazione della propria identità culturale con la nazione, dimenticando così tutte le diversità interne. E la negazione della nazione fa scattare delle "reazioni" da cui nascono nuovi nazionalismi che sono immediatamente accusati di essere tribalismi e forme di un ritorno al passato.
La denazionalizzazione, che si accompagna alla destatalizzazione, mette in crisi la validità dello stato di diritto e lo stato dei diritti che erano legittimi perché basati su una autorità politica come lo stato nazionale rappresentativo. E quindi obbliga a riconcepire, a ripensare la base di legittimità dei diritti delluomo, dei diritti individuali e collettivi, dei diritti sociali, culturali, politici. Lo stato è stata lespressione dellingegneria politica di una società umana organizzata e la sua legittimità era data dalla comunità nazionale che condivideva un sistema di valori, un storia, un progetto comune che è la nazione. La mondializzazione fa evaporare, spazza via tutto questo. Ecco perché ci hanno detto negli ultimi ventanni che il vero principio fondamentale della società nellera della mondializzazione e lindividuo: non ci sono più società, cè solo lindividuo. La signora Thatcher diceva: "There is no longer such a thing such as society: there is only the market".
Al processo di denazionalizzazione e di destatalizzazione si accompagna un terzo processo: quello della desocializzazione. Il problema dei legami sociali diventa un problema fondamentale: nella mondializzazione dovè il legame, dove si fa società? Si fa società solo quando cè la transazione commerciale, quando cè lo scambio attraverso internet? Molta gente dice che internet è la nuova forma di "spazio sociale", la nuova forma di configurazione delle relazioni sociali che superano il carattere nazionale, territoriale, statuale: e internet diventa lespressione di una libertà nuova dalla quale nasce la nuova società. Si parla di internet come nuovo linguaggio che socializza; e se non si ha un linguaggio numerico non si può far parte della società numerica, attraverso un mercato aperto. Trattandosi di una realtà denazionalizzata, destatalizzata, desocializzata, perdiamo la realtà della territorialità come incarnazione attraverso le risorse materiali e immateriali delle relazioni umane su un territorio, un territorio vissuto, storicizzato come la città. La città non e più una realtà legata ad una storia, con le sue vicende: queste cose non esistono più e si "virtualizza" tutto. Si entra in quella che viene chiamata la "vera universalità". Internet sarebbe così la nuova "pentecoste tecnologica": se si parla il linguaggio numerico tutti possono capire le diverse lingue.

I NUOVI POTERI
Terza dimensione: la resistenza deve essere fatta rispetto alla cultura dei nuovi poteri.
La "cosa straordinaria" dei nostri tempi è che più si creano società autocratiche, strutture oligarchiche dove il potere di pochi diventa un potere enorme mondializzato, e più si starebbero inventando le nuove democrazie, i nuovi poteri. Ci si starebbe cioè liberando delle vecchie legittimità per creare nuove legittimità, nuove forme di democrazia. E ci viene detto che e qui la resistenza è difficile da sviluppare e da mettere in pratica- i nuovi poteri hanno una grande legittimità perché hanno superato le fonti di legittimità come la rappresentanza nazionale che non sarebbero più legittimate.
Oggi, si dice, il potere è legato alla conoscenza: "tu hai potere perché conosci, hai le conoscenze". E il tuo potere è legittimo perché, in un mondo che si e complessificato, hai la capacità di capire cosa sta succedendo; e quindi sei qualificato ad operare in questo mondo e a dare soluzioni ai problemi, sei parte della soluzione ai problemi. Hai potere, quindi, solo se sei competente. E come si verifica se sei competente? È la tua capacità di produrre valori, cioè di aumentare il valore in termini finanziari attraverso la verifica data dai mercati finanziari. E in che modo sei capace di produrre valori, dimostrando così di essere competente? Attraverso laccesso alla comunicazione, allinformazione, al mastering dei fattori importanti che creano valore e la capacità imprenditoriale, cioè la capacità di creare unimpresa organizzata a livello mondiale in grado di trovare le occasioni migliori di sfruttamento del capitale conoscitivo che si possiede. Ed ecco che hai la legittimità.
Ed inoltre ci viene detto: "abbiate le competenze le più elevate, continuate a formarvi ogni anno, ogni mese, ogni giorno fino alla fine; perché se vi fermate le vostre competenze diventano subito obsolete in quanto la logica del mondo di oggi e la sua forza è il cambiamento istantaneo e continuo". E se non si è capaci di cambiamento continuo e istantaneo, si è buttati fuori subito: appena ci si ferma si è superati. La formazione permanente è diventata così lo strumento per accedere potenzialmente alla conoscenza, al potere. In questo contesto lo strumento di educazione diventa quello che legittima le ineguaglianze, perché il sistema ci dice "noi ti abbiamo offerto accesso alleducazione, ma se tu non ti sei aggiornato è colpa tua!" E si comprende così perché oggi si parla sempre più di equità piuttosto che eguaglianza: perché oramai è equo che le ineguaglianze esistano, ed esistono perché sono state legittimate, filtrate dalla selezione attraverso il sistema di educazione. In altre parole, il sistema di educazione-formazione è diventato il sistema di legittimazione evidente delle ineguaglianze e attraverso di esso si selezionano coloro che sono in grado di accedere alle competenze necessarie.
Tutto questo tocca il discorso sulla sovranità dello stato. Perché mai i parlamenti devono essere sovrani? No, ci si dice è sovrana solo quella struttura, impresa o persona che è capace di avere conoscenze, perché quello è il potere. La conoscenza nellepoca attuale dei sistemi di informazione, comunicazione sarebbe una conoscenza distribuita, diffusa: e noi saremmo una democrazia, vera, universale perché tutti possono aver accesso a tutte le competenze.

MERCANTIZZARE IL PIANETA?
E infine la quarta dimensione della resistenza: la "globalità fisica" del pianeta. Oramai ci hanno detto la terra, questa "entità vivente" e grande potenza di risorse, deve essere conquistata perché attraverso la scienza e la tecnologia abbiamo la capacità e quindi il diritto di utilizzare questo pianeta. E lo si utilizzerà in funzione di creare valore. E come viene massimizzata lefficienza nellutilizzo delle risorse naturali del pianeta riducendo limpatto ambientale? Attraverso il mercato dei diritti di proprietà, cioè "mercantizzando il pianeta". "Abbiamo il diritto ci viene detto di utilizzare questo pianeta: certamente ci saranno dei costi, avremo degli inconvenienti sul piano ambientale". E più aumentano questi diritti di proprietà delle conoscenze scientifiche capaci di ridurre limpatto ambientale dello sfruttamento delle risorse più aumenta la possibilità di vendere questi diritti; cioè, più si vendono le proprie conoscenze ad altri che ancora non hanno tecnologie e conoscenze adatte a ridurre i processi di produzione inquinanti, più aumenta il capitale stimolando linnovazione a creare nuove tecnologie e abbassando così prezzi dei prodotti. In altre parole, più si offre un mercato dei diritti di inquinamento meglio si organizzerebbe, sul piano della sostenibilità, il pianeta stesso. Nel 1997 a Kyoto hanno imposto questo: la gestione più efficace per ridurre le fonti di distruzione del pianeta sarebbe mercantizzare il pianeta. Non avrebbero più senso quindi i regolamenti nazionali, questi pastrocchi del XIX secolo che pretendono di essere sovrani: no, ci viene detto il pianeta è sovrano, il mercato è sovrano. Siamo come vedete di fronte a tesi importanti che ci portano al cuore del vivere insieme.
Come chiosa su queste quattro dimensioni possiamo domandarci: quali sono le chances alle quali vogliamo contribuire per costituire unazione, un innovazione alternativa che io chiamerei "la prima planetaria"? Come ci possiamo organizzare non per fare la 5 internazionale marxista, cattolica, musulmana, ma la "prima planetaria dellazione alternativa" a partire da queste capacità si liberarci dai condizionamenti delle quattro dimensioni della mondializzazione contro la quale la resistenza deve organizzarsi? Vi auguro buon lavoro.

 

IL MONOPOLIO DEI DIRITTI DI PROPRIETÀ INTELLETTUALE

Una realtà su cui oggi si dovrebbe lavorare politicamente è il diritto di proprietà intellettuale, il brevetto cioè che viene acquistato da chiunque "scopre", inventa qualcosa. Si tratta del diritto esclusivo a beneficiare della propria invenzione per 17 e 25 anni. Dopo che nel 1994 è stata fatta una modifica di tale diritto, le grandi imprese si stanno impadronendo del mondo della conoscenza depositando brevetti su brevetti.
Questo processo non è altro che una monopolizzazione privata della conoscenza. La conoscenza è stata ridotta ad una merce, non è più cosi accessibile a chi vuole: solo coloro che arrivano a certi livelli di formazione universitaria o post-universitaria e coloro che si sono laureati in università famose in Italia, ad esempio, la Bocconi hanno poi accesso a tali conoscenze. E questo indipendentemente dai loro orientamenti politici, perché sono considerati "quelli che sanno". Così anche politici che si dicono "di sinistra" utilizzano le loro competenze.

 

CONVEGNO DI MISSIONE OGGI: RESISTENZE IN DIALOGO Le quattro dimensioni della resistenza
Ambiti della resistenza: gruppi di lavoro Dal Sud del Mondo: messaggio al convegno di Alex zanotelli
Dalle resistenze a un'altra mondializzazione  

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