Cento volti di Dio in Italia
di Brunetto Salvarani
Qualche tempo fa, ebbe una certa diffusione una felice battuta del regista ebreo newyorkese Woody Allen: "Dio è morto, Marx è morto e neanch'io mi sento troppo bene"... Potremmo dire che oggi, invece, almeno per quanto riguarda il primo dei tre illustri pazienti citati, le cose sembrano andare ben diversamente! Appaiono distanti anni-luce, infatti, le stagioni dei "teologi della morte di Dio", dell'eclissi del sacro nella società industriale, delle discussioni infinite sulla fine della religione a causa della secolarizzazione e della modernizzazione imperanti in un mondo sempre più dominato dalle scienze e dalla tecnologia: e le religioni, per così dire, hanno brillantemente recuperato la prima pagina dei mass media, fanno sempre più audience e riempiono le piazze (non solo, si badi, quelle affascinate dal carisma di Giovanni Paolo II o del Beato Pio di Pietralcina, ma anche quelle del risveglio islamico, del nazionalismo induista, del fondamentalismo ebraico degli "haredim", delle parate protestanti in Irlanda del Nord, e così via). C'è chi ha parlato addirittura, in tale direzione, di una "rivincita di Dio" (Gilles Kepel), evidenziando il carattere sostanzialmente integralista di questo processo, e chi paventa, per il terzo millennio dell'era cristiana, una sorta di "scontro di civiltà" che somiglia paurosamente alle antiche guerre di religione (Samuel Huntington). Ma non sono da sottovalutare, nel panorama dell'attuale vistosa "diaspora del sacro", né l'incidenza del cosiddetto supermarket interreligioso prodotto da fenomeni complessi e di difficile decifrazione quali la New Age e la Next Age né i prevedibili "ritorni di fiamma" delle fedi religiose monoteistiche. Quanto si tratti di puro marketing socioreligioso, e quanto di bisogni religiosi autentici, insomma, lo deciderà il tempo.
In ogni caso, è un quadro variopinto, come si può facilmente cogliere, quello che anche nel nostro paese - abituato pressoché da sempre ad autocomprendersi alla luce di una consolidata e indiscussa identità cattolica - vede sorprendentemente la novità di una multireligiosità in atto, con l'islam ormai saldamente seconda religione d'Italia per numero di aderenti oltre che per visibilità sociale, il protagonismo crescente di presenze minoritarie solo sull'arido piano delle cifre (dagli ebrei ai valdesi agli ortodossi), l'aumento del fascino delle fedi e dei culti di derivazione orientale e di dottrine cristianeggianti particolarmente ramificate (si pensi, in primo luogo, ai Testimoni di Geova, ma anche ai Mormoni, per citare solo le due più note). Ed è sempre più evidente che per capire la realtà nella quale siamo immersi non possiamo fare a meno dell'alfabeto delle religioni (Fabio Ballabio dice: del "puzzle delle religioni"...), e che risulterebbe culturalmente assai depauperante illudersi di poter proseguire ad essere profondamente ignoranti in questo campo, dato che purtroppo viene evidenziato da ogni inchiesta sul tema periodicamente effettuata nel Belpaese.
Per vivere appieno il nostro presente e il nostro futuro, in altri termini, è indispensabile, da un lato, conoscere più e meglio le religioni "altre", cercando di evitare i ricorrenti pregiudizi e i facili pressapochismi; e dall'altro, educarci pazientemente al confronto e al dialogo interreligiosi. E' questo lo scopo del percorso interreligioso annuale 201 di Cem Mondialità", che ha scelto di interrogare direttamente alcuni fra i protagonisti delle principali confessioni religiose oggi diffuse nel nostro paese (escludendo il cattolicesimo, che dovrebbe essere senz'altro più conosciuto...), con interviste da noi approntate. E ci pare assolutamente significativo che esso veda la luce, in coincidenza con l'inizio del Terzo Millennio cristiano e l'apogeo del Grande Giubileo: vale a dire in un tempo che la chiesa cattolica percepisce come "kairòs", momento particolarmente propizio alla salvezza e alla diffusione della grazia di Dio. Un tempo in cui i cattolici, ma anche (se ci è concesso) ogni uomo "che Dio ama", sono chiamati a sostare, a sperimentare il riposo e il silenzio e l'attesa - come i nostri padri ebrei nel resoconto del Levitico al capitolo 25 - per annunciare meglio del solito e potentemente che la terra e il tempo non costituiscono una nostra proprietà e non fanno parte del nostro dominio, ma sono proprietà e dominio di Dio. Per annunciare, vorremmo aggiungere non a sproposito, che Dio parla oggi anche attraverso la molteplicità delle voci religiose, come lo stesso Giovanni Paolo II ebbe modo di rimarcare ad Assisi nell'incontro interreligioso da lui promosso nel "lontano" 1986.
Non sarà agevole, certo, aprirci con sincerità alle parole religiose altrui: occorrerà innanzitutto un cambiamento di mentalità, un'apertura alle ragioni degli altri, una conoscenza diretta a partire non solo da un'informazione e documentazione maggiori ma anche dall'incontro nella quotidianità, nello scambio interpersonale, nel racconto vicendevole delle rispettive esperienze di fede. Occorrerà tempo, coraggio, disponibilità: "normalmente" la diversità, e dunque anche la diversità religiosa, ci fa paura, ci crea un evidente disagio, perché la percepiamo come un'oscura minaccia alla nostra identità e spesso non possediamo gli strumenti per rielaborarla positivamente in vista di quella che un vescovo del nostro Sud, "don" Tonino Bello, chiamava felicemente la "convivialità delle differenze". Lo evidenzia bene un documento di qualche anno fa del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, intitolato "Dialogo e annuncio": "Il dialogo richiede un atteggiamento equilibrato sia da parte dei cristiani sia da parte dei seguaci delle altre tradizioni. Essi non dovrebbero essere né troppo ingenui né ipercritici, bensì aperti e accoglienti" (n.47). Fra le disposizioni richieste per un dialogo corretto e fruttuoso, si ricordavano qui il disinteresse e l'imparzialità, l'accettazione delle differenze e delle eventuali contraddizioni, la volontà di impegnarsi insieme al servizio della verità e la prontezza a lasciarsi trasformare dall'incontro: "ciò non significa che, nell'entrare in dialogo, si debbano mettere da parte le proprie convinzioni religiose. E' vero il contrario: la sincerità del dialogo interreligioso esige che vi si entri con l'integrità della propria fede" (n.48). L'altro, dunque, è colui che mi permette di comprendere chi sono, che mi plasma (per opposizione) e che mi rammenta continuamente come la verità - persino la verità religiosa - rappresenti un itinerario più che un possesso assoluto e definitivo. Perciò, crediamo che - in un pianeta caratterizzato dalla mondialità e dall'interdipendenza - il dialogo ecumenico e interreligioso sia uno dei temi strategici del Grande Giubileo e del nostro vivere insieme, e sia destinato a divenire un autentico "caso serio" per ogni credente. Si potrebbe anzi definirlo, richiamando le parole autorevoli del papa Giovanni Paolo II nell'enciclica "Ut unum sint" (1995), "una necessità dichiarata, una delle priorità della chiesa" (n.31). Tale è il dialogo con quegli "altri" che si presentano a noi come un enigma, ma che potrebbero essere - al contrario di quanto pensava il filosofo Jean-Paul Sartre, allorché li immaginava come un inevitabile inferno - la nostra prima beatitudine su questa terra.
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