IL SECOLO BREVE DELLA TECNOSCIENZA
In margine ad una lettera giunta in redazione*

di Carlo Baroncelli 

Spettabile CEM Mondialità, siamo studentesse e studenti di III Media
presso la Scuola Statale "Enrico Fermi" di Osio Sotto
e ci accingiamo a studiare il Novecento. (&) Abbiamo pensato
di sottoporre il seguente quesito a un certo numero di persone
rappresentative del secolo che sta concludendosi:
potrebbe indicarci quelli che sono, a suo avviso gli aspetti
più interessanti della Scienza e della Tecnica del Novecento?

(Coordinatrici Enrica M e Linda C)

Si tratta di una domanda particolarmente impegnativa, perciò cercheremo di articolare alcune parziali argomentazioni, sperando di non travisare lo spirito della domanda della "Enrico Fermi".

Alcune considerazioni generali

Prima di tutto vorremmo, però, precisare da quale punto di vista intendiamo affrontare la questione. Il modo più immediato di rispondere alla domanda potrebbe essere quello di fare un elenco delle principali scoperte e applicazioni tecnologiche che hanno scandito il secolo che altri hanno definito "breve". Si tratterebbe di un esercizio relativamente facile ma, riteniamo, di dubbia utilità.

Subito proporremmo le scoperte nell'ambito della fisica atomica che caratterizzarono i primi trent'anni di questo secolo (e che Gamow definì i Trent'anni che sconvolsero la fisica). Esse a partire dall'ipotesi dei quanti di luce avanzata da Max Plank (l'idea, cioè, che l'energia emessa da un corpo riscaldato fosse distribuita in "pacchetti di energia") aprirono le porte alla nascita della fisica quantistica. Ma immediatamente non potremmo evitare di sottolineare come quelle ricerche dal punto di vista di coloro che vi parteciparono in prima persona (Bohr, Pauli, Heisenberg, Dirac, Fermi...) assunsero la connotazione di un'entusiasmante impresa intellettuale alla scoperta dei fondamenti ultimi della materia, ma per molti altri (dimenticati purtroppo) significarono di lì a poco morte e distruzione.

E allora come non ricordare la lettera che proprio Enrico Fermi scrisse ad Edoardo Amaldi il 28 agosto 1945 all'indomani di Hiroshima e nella quale possiamo leggere:

Dalla lettura dei giornali di qualche settimana fa avrai probabilmente capito a quale genere di lavoro ci siamo dedicati in questi ultimi anni. È stato un lavoro di notevole interesse scientifico e l'aver contribuito a troncare una guerra che minacciava di tirar avanti per mesi o per anni è stato indubbiamente motivo di una certa soddisfazione.

Accosteremmo poi a queste ricerche in campo fisico, quelle in ambito biologico. La scoperta, negli anni cinquanta, della struttura della molecola del DNA (la sede, come si usa dire, dell'informazione biologica) ha senza dubbio aperto svariati filoni di ricerca che hanno permesso - ad esempio - progressi senza precedenti in ambito medico. Hanno fatto inoltre emergere le problematiche relative alle possibilità di manipolazione genetica della vita (tecnologie di DNA ricombinante, clonazione di mammiferi, alterazione genetica di alimenti, mappatura del genoma umano, sperimentazione sugli embrioni). Per Jeremy Rifkin (autore de Il secolo biotech) queste ricerche starebbero di fatto portando l'umanità alle soglie di una "seconda Genesi artificiale", con gli scienziati impegnati nel ruolo di neo-divinità.

Come terzo elemento caratterizzante questa fine secolo non potremmo fare a meno di inserire la rapidissima rivoluzione informatica che, a partire dalla rapida diffusione - nei primi anni ottanta - dei personal computer, ha permesso all'uomo una capacità di calcolo impensabile e sempre crescente.

Biotecnologie e informatica si stanno d'altra parte, integrando sempre più: Bill Gates ha infatti definito i nostri tempi come l'era dell'informazione: "e l'informazione biologica è probabilmente l'informazione più interessante che stiamo decifrando e cercando di decidere di cambiare. La questione è solo come farlo, non certo se farlo" (cit. in Il secolo delle biotecnologie, in Internazionale (229), aprile 1998, p.19).

Un passo indietro. Scienza e Tecnica o...
A questo punto però credo sia necessario fermarsi e riconsiderare la questione da un'altra prospettiva. In primo luogo perché ci sembra che leggere il Novecento scientifico (come qualsiasi altro secolo) in termini di un mero elenco di scoperte o di invenzioni svincolate dal contesto sociale/storico/politico/economico nel quale si sono verificate non ci aiuti granché a capire né la scienza né la società che quella scienza ha partorito. In secondo luogo perché siamo convinti che tener separate Scienza e Tecnica abbia un che di artificioso. Se qualcosa ha dimostrato l'incedere dell'impresa scientifica in questo secolo è proprio la sua inestricabile collusione con la tecnologia.

Facciamo allora un passo indietro.

I rapporti e le tensioni tra scienza e tecnica hanno permeato gran parte dell'evoluzione umana. Questi rapporti si sono fondati fin dall'inizio su un paradosso relativo agli atteggiamenti che gli uomini hanno mostrato nei riguardi della loro scienza e della loro tecnica (cfr. la voce Tecnica dell'Enciclopedia Einaudi, Vol. 13, p.971 e segg.). Gli uomini sono sempre andati fieri della loro capacità di controllo dell'ambiente permesso loro dalla tecnica, ciò nondimeno hanno sempre teso a svalutare quelle stesse tecniche, considerate inferiori nei confronti della scienza, vista come più nobile attività dello spirito: "L'esempio dell'insegnamento è probante: la tecnica va negli "istituti", la scienza nelle università" (ibidem). Questo atteggiamento schizofrenico sembra essere stato comune alla gran parte dei gruppi umani nelle varie epoche. L'uomo manipola il proprio ambiente sempre più profondamente e, contemporaneamente, sembra vergognarsi di questa sua capacità, assegnando un ruolo di privilegio alle scienze "pure".

Tale atteggiamento lo ritroviamo anche nel vocabolario per il quale "tecnica" è quell'insieme di norme che regolano il concreto svolgimento di un'attività manuale, intellettuale o sportiva (Zingarelli 1997) o anche: modo di lavorare, produrre, realizzare.

Come terza accezione della voce tecnica troviamo: "Qualsiasi forma di attività umana volta, sfruttando le conoscenze e le acquisizioni della scienza, alla creazione di nuovi mezzi, congegni, apparati che migliorino le condizioni di vita dell'uomo stesso: le straordinarie realizzazioni della t." (in quest'ultima accezione di tecnica ritroviamo i lineamenti di quella che più propriamente chiamiamo tecnologia).

Leggiamo ora alla voce "scienza": "Complesso dei risultati dell'attività speculativa umana volta alla conoscenza di cause, leggi, effetti e sim. intorno a un determinato ordine di fenomeni, e basata sul metodo, lo studio e l'esperienza"; di seguito troviamo la distinzione tra scienza pura, scienze applicate, scienze sperimentali e scienze matematiche.

È evidente la distinzione tra il carattere materiale della tecnica contrapposto al carattere speculativo della scienza.

Da parte sua, lo storico della scienza Paolo Rossi in un bel libro (I filosofi e le macchine, Feltrinelli, Milano 1980) ci racconta come tra il 1400 e il 1700 si sviluppi in Europa un acceso dibattito attorno alle arti meccaniche: tra chi le accusa di essere indegne tanto da far coincidere "le operazioni pratiche con il lavoro servile" (ivi, p.7) e chi, viceversa, pensa che i "procedimenti dei quali fanno uso i tecnici e gli artigiani... giovano alla conoscenza effettiva della realtà naturale" (ibidem).

Come si vede, si tratta di una polemica antica e tutt'altro che esaurita, tanto da essere ancora oggi centrale per capire quanto sta accadendo attorno a noi.

... o "Tecnoscienza"?
È nei primi anni settanta che Gilbert Hottois comincia ad usare il termine "tecno-scienza", ma già nel 1934 Gaston Bachelard parlava di scienza-tecnica. Secondo Jürgen Habermas "con la comparsa della ricerca industriale su larga scala scienza, tecnica e valorizzazione industriale sono risultate integrate in un solo e medesimo sistema". Ci troveremmo, insomma, di fronte ad un doppio processo di scientificizzazione della tecnica e di tecnicizzazione della scienza: "Lo scienziato diventa tecnico. Si circonda di strumenti sempre più perfezionati per fare scoperte scientifiche come pure per elaborare nuove tecniche. E per Jean Ladrière "la scienza moderna è strettamente associata a un potere sulle cose e sull'uomo stesso, ed è per questo che essa appare legata alla tecnologia al punto di esserne indistinguibile" (cit. in S. Latouche, La megamacchina, Boringhieri, Torino 1995, p.53).

Per Serge Latouche questo doppio processo avrebbe un carattere irreversibile: la tecnologia ingloberebbe ogni aspetto della nostra vita. Il sistema tecnico nel quale ci troviamo viene a configurarsi come una megamacchina tecnoeconomica della quale l'uomo diventa un ingranaggio, ancorché "un ingranaggio pensante". Questa Megamacchina obbedirebbe - sempre secondo Latouche - a due leggi preoccupanti:

1. tutto quel che è possibile scoprire sarà fatto (se si può fare si deve fare);

2. tutto quello che è stato scoperto sarà utilizzato e messo in opera (se lo si fa, bisogna utilizzarlo).

Attenzione: questo sistema tecnico è forse oggi completamente esplicitato ed evidente ma non è una caratteristica dei nostri tempi. Il calcolatore e le nuove tecnologie non farebbero altro che amplificare una condizione costituiva della scienza.

Anche secondo Umberto Galimberti (che di recente si è occupato della questione in un ponderoso volume) l'essenza della scienza non sarebbe contemplativa ma "fin dall'origine produttiva. Ciò significa che la tecnica non è la semplice applicazione dei risultati scientifici, ma è la forma della scienza che, in quanto tale, traduce il pensiero da teoretico a produttivo" (U. Galimberti, Psiche e Techne, Feltrinelli, Milano 1999, p.379).

Questa prospettiva mette dunque in crisi l'annosa questione che vedrebbe da una parte una scienza pura e neutrale e, dall'altra, le sue applicazioni tecnologiche, meri mezzi nelle mani dell'uomo dal quale dipenderebbe un loro uso buono o cattivo.

Alla base della scienza moderna troveremmo un cambiamento fondamentale nel modo di procedere della ragione: essa "si ritiene investita non più dalla domanda metafisica che chiede "che cosa" una cosa è, ma dalla domanda funzionale che chiede "come" con quella cosa è possibile operare" (ivi, p.380). In questo modo la scienza si svincolerebbe definitivamente anche da ogni responsabilità etica, estetica o politica.

 La terza cultura che avanzaAl sito internet della nota rivista Science, nella interessante sezione Essay on Science and Society (http:// www.sciencemag.org/feature/data/150essay.shl) abbiamo trovato un articolo che riporta il punto di vista di ragazzi di una scuola elementare (Sun Prairie, Wisconsin) a riguardo della scienza. Ci sembra interessante riportare alcuni di questi pensieri (Il titolo dell'articolo suona: Hooray, Hooray! It's Science! Traduciamo liberamente alcuni di questi pareri):

"La scienza ha cambiato la mia vita facendo sì che tutto sia più facile. Consideriamo l'insegnamento, per esempio. Quando il mio maestro vuol distribuire una dispensa a 20 studenti, basta che introduca un foglio in una fotocopiatrice e in pochi istanti ottiene venti copie"

"Quando torno a casa dalla scuola guardo la TV. Cinquant'anni fa non potevamo vedere la TV. Mi piace leggere e frequentemente accendo la luce per leggere. La luce è parte della scienza.

Quando ho freddo accendo il riscaldamento e mi riscaldo. Molto tempo fa usavano il fuoco"

"Oggi abbiamo le automobili per spostarci e, credetemi, le auto rendono tutto più facile... Sappiamo che cosa mangiare e cosa non mangiare. Sappiamo di non dover fumare e che fa bene mangiare molte verdure"

"Senza la scienza molti di noi sarebbero senza lavoro. Pensiamo a tutti gli scienziati, i medici e gli astronauti..."

"Senza la scienza non avremmo la medicina, la musica, la televisione, i compact disc, matite, computers, gomme, inchiostro, aereoplani, auto, lavastoviglie. Quando i miei genitori erano piccoli non avevano tutto questo. Non si parlava di cancro quando mio nonno era giovane"

"La scienza è divertente, qualche volta. Abbiamo studiato gli elementi, gli acidi, gli animali. Sappiamo quali alimenti sono buoni e quali no. Non sappiamo ancora qual è la causa dell'AIDS. Senza la scienza non sapremmo chi siamo. Noi siamo degli Homo sapiens. Senza la scienza non avremmo una casa confortevole e vestiti"

"La scienza ha cambiato il mondo in molti modi. I trasporti sono un grande contributo scientifico. Ora possiamo attraversare gli oceani con facilità, anche se l'inquinamento da scarichi è un fattore pericoloso.

La tecnologia dei computers ha semplificato molto la mia vita. Per fare delle ricerche tutto quello che devo fare è collegarmi a Internet"

"I videogames son un vero miracolo per me. Posso giocarci per ore. Hanno aggiunto comfort e divertimento alla mia vita. Quando mi annoio, vado nella mia camera con la Play Station e ci resto per quanto ne ho voglia"

"La scienza mi ha insegnato molto sulla vita, sulle meraviglie del mondo e sulle relazioni tra queste meraviglie. La scienza ci insegna a espandere la nostra conoscenza..."

Colpisce, nella maggioranza di queste affermazioni, il tono trionfalistico con il quale vengono riportati i vantaggi che la scienza arrecherebbe alla società. In nessuno dei brevi componimenti abbiamo trovato una nota di dubbio (a parte l'accenno all'inquinamento in un caso) o di cauta circospezione nei confronti dell'impresa scientifica. Inoltre tutti sono concentrati sui risvolti tecnologici e immediatamente pratici della scienza. Solo nell'ultimo brano riportato troviamo un accenno alle meraviglie del mondo e alle loro connessioni, all'espansione della conoscenza. E, comunque, anche degli aspetti tecnologici emergono solamente i lati positivi (le auto che rendono tutto più facile, ecc.).

Sembra proprio di leggere tra le righe di questi pensieri l'avanzare di quel processo di trasformazione culturale che, secondo alcuni, ci porrebbe di fatto di fronte ad una terza cultura, una cultura popolare, diffusa e basata sulla tecnologia (soprattutto quella informatica). Per Kevin Kelly, editore esecutivo di Wired (una delle più importanti riviste di cultura digitale), la tecnologia è diventata la cultura di questa generazione di "Nintendo kids" (vedi The Third Culture, al sito web http: //www.sciencemag.org/cgi/content/ /full/279/5353/992). Questa terza cultura è figlia dei successi della scienza ma ne determina, contemporaneamente, una sua retrocessione culturale. Essa non perseguirebbe più la verità ma la novità: "nuovo", "migliore", "diverso", sarebbero le parole chiave di questa cultura tecnologica. Una cultura che crea nuovi strumenti più velocemente di quanto crei nuove teorie, perché nuovi strumento portano a nuove scoperte più in fretta delle teorie. L'aspetto che più colpisce di questa nuova cultura è l'immediatezza: essa non è frutto di dispute marginali tra una classe di intellettuali ma investe la vita di tutti su tutto il pianeta. Inoltre, questa tecno-cultura non è un fenomeno esclusivamente americano ma sta diventando internazionale quanto la scienza. Un numero sempre maggiore di persone nel mondo possono accedere agli strumenti necessari per entrare in questa nuova cultura: attraverso le nuove tecnologie nella scuola; la disponibilità di prodotti ad alta tecnologia e basso costo; la presenza saturante dei media. Appare sempre più vero quanto afferma Latouche : "La tecnica non è uno strumento al servizio della cultura, essa è la cultura o ciò che ne fa le veci" (La maegamacchina, cit., p.48), e poco più avanti: "Il cittadino ordinario è incomparabilmente meno tecnico e capace di sbrogliarsela dell'indigeno delle società neolitiche, ma il tecnocosmo pesa infinitamente di più sulla sua esistenza quotidiana" (S. Latouche, La Megamacchina, p.52). D'altra parte, già Max Weber, in una famosa conferenza sulla scienza tenuta a Monaco di Baviera nel 1917, ebbe a dire: "Mentre viaggiamo in tram non abbiamo la minima idea di come esso faccia a muoversi, a meno che non siamo dei fisici& Il selvaggio conosce i suoi strumenti in maniera incomparabilmente migliore di noi" (La scienza come professione, Rusconi, Milano 1997)

Conclusione?
A questo punto ci sorgono , per così dire, spontanei alcuni interrogativi: come si confronta la scuola con questo pervasivo orizzonte tecnologico? Quale ruolo per le nuove tecnologie didattiche? Quali abilità critiche sviluppare? Come tutto questo influisce sul modo stesso di intendere la scuola, l'educazione, la didattica?

Per tentare alcune provvisorie risposte a queste domande riterremmo utile proseguire le riflessioni precedentemente e grossolanamente abbozzate rilanciando il tema di apertura secondo due linee (almeno) di discussione che vogliamo così sintetizzare:

1. Per quanto riguarda il ruolo della tecnica/tecnologia nella società di oggi (o nell'intera storia dell'Occidente) sentiremmo la necessità di approfondire il pensiero di Umberto Galimberti la cui impostazione, ci sembra, dovrebbe provocare attente riflessioni anche in campo educativo;

2. L'attuale enfasi sulle nuove tecnologie didattiche e sul loro tanto decantato potenziale di apprendimento potrebbe (dovrebbe) rappresentare uno stimolo affinché nella scuola si ricominci (o si cominci una buona volta) a tener conto di come e quanto siano mutati i modelli che del cervello e della mente emergono dai più recenti studi in campo biologico, psicologico, antropologico. Di particolare interesse, in quest'ottica, ci paiono gli ultimi studi di Jerome Bruner (cfr. La cultura dell'educazione, Feltrinelli, Milano 1997), quelli di Howard Gardner (cfr. Educare al comprendere e il recente Sapere per comprendere) e quelli di studiosi - sicuramente meno noti in ambito pedagogico, anche se, a nostro parere, ricchi di stimoli e provocazioni - quali Humberto Maturana, Francisco Varela, Heinz Von Foerster, tutti facenti riferimento al filone di ricerca noto come costruttivismo radicale.

Come si vede la carne al fuoco è tanta e la tematica sicuramente complessa. Vorremmo però impegnarci, come rivista, ad affrontare in futuro alcune delle problematiche menzionate anche attraverso contributi di quanti vogliano esprimere le proprie riflessioni in merito e condividere idee ed esperienze.

 Bibliografia minima

Per approfondire o articolare ulteriormente la tematica dei problematici rapporti tra scienza e tecnologia possono risultare utili, oltre ai già citati La megamacchina (S. Latouche), Psiche e Techne (U. Galimberti) e I filosofi e le macchine (P. Rossi), i seguenti titoli:

R. Fieschi, C. Paris De Rienzi, Macchine da guerra. Gli scienziati e le armi, Einaudi, Torino 1995
Gli autori pongono al centro delle loro analisi l'evento-simbolo rappresentato dalla storia della costruzione della bomba atomica quale situazione paradigmatica dell'intreccio tra scienza, tecnologia e politica. Partendo da una concisa ma non semplicistica ricostruzione storica che, a partire dalla prima guerra mondiale, giunge fino ai nostri giorni, gli autori prendono in considerazione i vari punti di vista e le diverse posizioni emerse nelle polemiche interne ed esterne alla comunità scientifica. Il libro si conclude con un'"interrogativo/proposta": è possibile immaginare un "giuramento d'Ippocrate", un impegno etico, che ogni scienziato o tecnico dovrebbe solennemente e pubblicamente sottoscrivere? Il dibattito è aperto.

P. Rabinow, Fare scienza oggi, Feltrinelli, Milano 1999
Che cosa significa fare scienza in questi anni? E quali sono i rispettivi ruoli della ricerca universitaria e privata? Quanta influenza esercitano gli azionisti e i capitali speculativi? È ancora possibile inventare qualcosa? I progressi tecnico-scientifici sono il prodotto del genio solitario o di un lavoro di squadra scrupoloso e ripetitivo?... E infine, cosa significa inventare in un'epoca in cui la stessa vita diventa brevettabile? (dal retro di copertina) Il testo, agile e avvincente nella forma, è un vero e proprio saggio di antropologia ("resoconto etnografico" dice l'autore) applicata ai processi di ricerca scientifica (biologica nella fattispecie) di questi anni. L'autore assume l'ottica particolaristica delle vicende che portarono, nei primissimi anni ottanta all'invenzione della catena di reazioni chimiche (Polymerase Chaine Reaction) che permisero lo sviluppo esponenziale della capacità di duplicare e manipolare frammenti di DNA.

H. Collins, T. Pinch, Il Golem. Tutto quello che dovremmo sapere sulla scienza, Dedalo, Bari 1995
Prendendo le distanze sia da visioni "apocalittiche" quanto da quelle "integrate", gli autori propongono una sorta di via di mezzo secondo la quale la scienza non può essere considerata né tutta buona né tutta cattiva, ma potenzialmente pericolosa e maldestra. La metafora esplicitata fin dal titolo è quella del Golem, il gigante mite della mitologia ebraica Yiddish che però, in qualsiasi momento può impazzire e spargere terrore. "Per la nonna di Collins (uno degli autori n.d.r.), era vantaggioso conoscere un golem se desideravi zappare il giardino, ma ai bambini si raccomandava di non avvicinarsi". Mettendo in guardia dalle analisi filosofiche, dai miti, le teorie, l'agiografia, il compiacimento, l'eroismo, la superstizione e la paura che hanno impedito e impediscono alla maggioranza delle persone di comprendere "quello che effettivamente succede", gli autori esordiscono programmaticamente: "Preparatevi ad imparare due cose. Preparatevi ad imparare un po' di scienza" ma soprattutto "preparatevi ad imparare molto sulla scienza".

F. Mayor, A. Forti, Scienza e potere, Sperling & Kupfer, Milano 1997
Si tratta di una raccolta di brevi saggi che affrontano da diversi punti di vista il tema dei rapporti tra scienza e poteri (ideologico, economico, politico...) e di come questi si siano venuti modificando nel corso dei tempi, in un percorso che, a partire dall'antichità classica e passando per la modernità, la rivoluzione industriale e la seconda guerra mondiale giunge fino ai nostri giorni.
"Leon Battista Alberti, architetto e umanista fiorentino del Rinascimento, affermava che "gli uomini, se vogliono, possono fare tutto". Ma come possono fare "tutto" gli uomini? Francesco Bacone diede la risposta: devono obbedire alle leggi della natura. Ma obbedire alle leggi della natura implica sapere quali sono e, quindi, sin da allora, le idee di onniscienza e onnipotenza sono rimaste strettamente legate" (dall'introduzione di Ilya Prigogine)

* Parte di questo articolo è basato su materiale che comparirà nel n°16 dei Quaderni dell'inerculturalità, EMI.

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