CAOS, UNIVERSO, PLURIVERSI
di Arnaldo De Vidi
Possiamo definire cultura come "creazione delluniverso dal caos". Per la mitologia greca il mondo nasce dal caos. Anche secondo la Bibbia la creazione non è "ex nihilo".
In principio Dio creò il cielo e la terra [questo è il titolo; ndr].
Il mondo era vuoto e deserto, le tenebre coprivano gli abissi
e un vento impetuoso soffiava su tutte le acque [descrizione del caos; ndr].
Dio disse: "Vi sia la luce!". E apparve la luce. (Gn 1, 1-3)
In seguito Adamo è chiamato da Dio a dar nome alle creature. (Gn 2, 19-20)
Quando un popolo ordina il creato col linguaggio e definisce la sua posizione dentro al creato, egli fa nascere luniverso dove prima cera il caos e dà così origine alla sua cultura.
Levento della creazione delluniverso si ripete in certa misura per ogni persona/individuo. Il neonato si trova in un meraviglioso e spaventoso "caos" e i genitori sono delegati da Dio a iniziare lopera della creazione. Dando nome alle cose, incoraggiando a fare certe cose e proibendone altre, iniziando il bambino allordine, al senso dello spazio e del tempo, inserendolo nella propria cultura, i genitori sono i primi creatori o fondatori.
Vengono in seguito gli altri membri della società civile e religiosa; in particolare gli insegnanti a scuola finalizzano lopera di creazione delluniverso e la consacrano.
Tutto questo è provvidenziale e necessario. Ma cè per ciascun popolo e ciascun individuo un reale pericolo: credere che il proprio "universo" sia lunico possibile o il migliore, al punto che si debba difenderlo a tutti i costi e ripeterlo inalterato. Cè il pericolo per gli educatori di considerarsi funzionari di una "cultura nazionale", difensori dello status quo, pena il diventare diseducatori. Se ieri questo non creava tanti problemi perché relazioni/migrazioni/cambiamenti erano ridotti e lenti, oggi non è più concepibile. Per altro lato, oggi con laziendizzazione della scuola (bisognosa di sponsor?) la minaccia del funzionarismo è più attuale che mai.
Ecco allora che il discorso del pluriverso diventa nodale. Io lo vedo in 3 momenti.
1° Occorre svelare che il proprio universo culturale (pur provvidenziale) è relativo.
Trovo illuminato su questo tema il Tao teching di Lao-tze, "sospettoso" verso la parola, la nominazione.
"Il nome che può essere nominato differisce dal nome perenne.
Il termine non-essere indica il prima di cielo e terra;
il termine essere indica la madre delle diecimila cose". (1,1-2)
Insomma lessere è il non-essere (caos) che si fa matrice: è il nominare le cose che le "determina" con un senso univoco tra gli infiniti sensi possibili& quindi con un processo riduttivo. Parlando di culture dei popoli, il caos iniziale è un pluriverso potenziale, ma ogni popolo lo determina così che diventa universo. Per il cinese il mondo è organismo vivente; per lindiano è frammenti di Dio; per loccidentale è artefatto di Dio. Si tratta di letture del mondo che determinano linguaggi esistenziali differenti per stare nel mondo.
2° Bisogna recuperare (almeno parzialmente) il caos come potenziale pluriverso.
Qui siamo al punto più critico e doloroso: non si tratta di insegnare il pluriverso agli alunni. In certo senso dobbiamo noi adulti disimparare luniverso. Bisogna tornare alle origini, prendere latteggiamento di chi è agli inizi. Dice Duccio Demetrio che linterculturalità non è fenomeno naturale-spontaneo (naturale è letnocentrismo), per cui si richiede un progetto pedagogico. Io ritengo che si tratta di cosa più radicale ancora: dobbiamo partire dal caos per valorizzare altri universi/pluriversi. Dobbiamo far violenza a noi stessi, infatti il caos spaventa, specialmente spaventa coloro che hanno sempre considerato lordine come bene supremo. (Stimolante e suggestivo è il fatto che i cinesi rappresentano il caos uno come disordine e il caos due come ordine tipo fitte linee geometriche parallele , per poi assurgere alla cultura e allarte grazie alla creatività: è quanto possiamo vedere nei broccati delle vesti imperiali).
Chi valorizza il caos sono i bambini che rovesciano il barattolo del Lego, i pezzi del puzzle, tutti i colori di cera per poter scegliere e "lavorare/giocare" bene; o sono i pre-adolescenti che non sopportano la loro stanza in ordine. Tra gli adulti sono gli artisti e i geni che non accettano lordine, il geometrico, il definito.
Ai bambini ci vuole qualche grado di disordine per giocare, crescere, scoprire il mondo. Per gli artisti il caos è creativo perché le buone idee per venire hanno bisogno di un ambiente che rifiuta il rigido ordine di tutti i giorni. Jean Piaget a 80 anni aveva lo studio zeppo e così disordinato da muoversi solo "a guado".
3° Bisogna avere momenti alternati di caos e ordine.
La vita ha bisogno del moto continuo, alterno, di yang (rivoluzione) e yin (assestamento). Ma forse questo io lo dico perché è il mio modo di procedere: scrivania caotica quando devo produrre e ordine alla conclusione del lavoro (il caos da solo non è ancora producente).
Forse nella scuola i momenti più felici sono proprio quelli yang: momenti in cui si lasciano gli alunni liberi di agire come vogliono. Ne hanno bisogno nella fase ludica dai 3-6 anni, ma anche in seguito e specialmente, credo, nella pubertà in cui se il "caos" riflette i turbamenti tipici delletà, è anche foriero di mondi nuovi.
In certo senso si tratterà di vivere un universo così variegato da essere un pluriverso, per aprirci agli altrui universi e pluriversi per un terzo millennio che sarà estremamente e salutarmente meticciato e contaminato.
|