VERSO UNA "PAIDEIA 21".
Oltre l'occidente il mondo.

 

 a cura di ANTONIO NANNI e CLAUDIO ECONOMI 



1. La commissione dei 44 saggi: più competenze, meno contenuti

Educare, certo, ma per quale società? Rinnovare la scuola, giusto, ma per quale uomo? O meglio: verso quali profili di uomini e di donne, cioè di cittadini, orientare l'azione educativa della scuola? Noi crediamo che i movimenti educativi di base, le associazioni degli insegnanti e dei genitori, abbiano in questo tempo storico un compito molto importante: quello di contribuire a spingere in avanti, verso prospettive sempre più coraggiose e umanizzanti, ciò che è stato elaborato dalla Commissione dei 44 saggi. Come è noto, il 20 marzo 1998 presso l'Accademia dei Lincei è stato presentato e discusso il documento I contenuti essenziali per la formazione di base.
Nelle pagine di presentazione, redatte da un gruppo composto da Roberto Maragliano, Clotilde Pontecorvo, Giovanni Reale, Luisa Ribolzi, Silvano Tagliagambe e Mario Vegetti, si afferma, tra l'altro, che alla scuola non basta più, semplicemente, aggiornarsi. Occorre fare di più.
La scuola deve essere messa nelle condizioni di ridefinire il suo tessuto culturale, anche nella prospettiva della globalizzazione.
Non è in gioco soltanto l'esigenza di approntare "nuovi programmi". Si tratta invece di dare alla formazione scolastica un assetto epistemologico che le consenta di entrare in sintonia con tali trasformazioni.
Sembra farsi strada una nuova prospettiva che con uno slogan potremmo sintetizzare così: più competenze, meno contenuti. La scuola di domani dovrà poggiare su alcuni pilastri fondamentali, quelli più corrispondenti al momento storico che la nostra società sta attraversando: l'interculturalità, la multimedialità, la cultura civica e democratica, in un quadro complessivo di autonomia della scuola e di una scuola dell'autonomia.

 

2. Scenari sociali nel passaggio d'epoca

Cercheremo ora di descrivere, in modo breve ed equilibrato i principali scenari culturali che sembrano caratterizzare la transizione che stiamo vivendo, cercando soprattutto di cogliere le implicazioni educative che tali "macroscenari" contengono.

 

a)

Primo scenario: La globalizzazione
Che cosa vuol dire affrontare la globalizzazione come sfida per l'educazione? L'avvento della globalizzazione viene a radicalizzare un disagio e un malessere già esistenti, generando in tanti una reazione contraddittoria fatta di rassegnazione e di resistenza, di sopravvivenza e di nuova progettualità, di catastrofismo e di speranza.
Ha ancora un senso l'azione educativa? Oppure tale azione rischia d'essere del tutto subalterna alle leggi del mercato e al dominio delle nuove tecnologie della comunicazione multimediale?
L'uomo integrale non è riducibile alla sola dimensione dell'Homo oeconomicus perché l'Uomo trascende l'economia e per questo la persona umana non può essere formata in funzione del mercato.
La competitività e la meritocrazia devono in ogni caso essere temperate attraverso la valorizzazione di una cultura della cooperazione e della solidarietà.
Non si tratta di negare la competizione come dato costitutivo dell'uomo (forse) ma di inquadrarla in una cornice antropologica più ampia che invece di isolare l'individuo, riesca a coglierlo nel suo legame di socialità e di reciprocità e dunque di bene comune.
Sono urgenti un'educazione "economica" e un'educazione "ecologica" perché l'uomo contemporaneo ha assolutamente bisogno di un'etica del limite e di una cultura della sobrietà. Solo così, infatti, potrà assicurare il futuro di tutti e del pianeta terra.
La scuola ha bisogno di una educazione ecologica non solo nel senso di una cultura dell'ambiente, ma anche nel senso epistemologico d'un nuovo modo di conoscere e d'un nuovo tipo di sapere.
L'uomo contemporaneo cammina sulla via dell'individualismo e, dunque, la società attuale si caratterizza per la mancanza di valori condivisi da tutti, per la pluralità delle proposte e per l'enfasi accordata alla libertà individuale. Ma tale libertà il più delle volte si trasforma in una totale indifferenza per la comunità. Non a caso il principio del bene comune sembra oggi diventato, come l'orsetto panda, un concetto a rischio di estinzione.
Siamo consapevoli che solo costruendo insieme una prospettiva, di educazione globale (Global Education) sarà possibile ridurre gli effetti devastanti della globalizzazione, non certo restando prigionieri di una rassegnata cultura del frammento o del cortile, o dei mille specialismi.
Un rischio da evitare è quello di apparire come gli apocalittici della globalizzazione, dipingendola solo in negativo.
Noi riteniamo che l'educazione non possa limitarsi a presentare la realtà e i processi sociali in maniera neutra e distaccata ma debba prendere posizione in nome della intrinseca natura etica e antropologica di ogni autentica pedagogia.
Come può, infatti, un'educazione che voglia promuovere il rispetto dei diritti umani restare indifferente agli attuali squilibri sociali a livello mondiale?

b)

Secondo scenario: L'epoca post-moderna e post-secolare
A ragione E. Agazzi osserva che "La fiducia illimitata, l'ottimismo incrollabile, l'approvazione incondizionata nei confronti delle realizzazioni (o "conquiste") della scienza e della tecnologia sono stati sostituiti negli ultimi decenni da un atteggiamento piuttosto diffuso di diffidenza, paura, denigrazione e rigetto". (E. Agazzi, Il bene, il male e la scienza, Rusconi, Milano 1992, p.10).
Ciò che si intende qui mettere in evidenza è il tramonto delle ideologie, la crisi della ragione moderna e però anche l'arresto del processo lineare della secolarizzazione, la sua metamorfosi e l'avvento della New Age (così come dei fondamentalismi religiosi) in una società che si presenta oggi come post-secolare. Tant'è che si parla piuttosto di desecolarizzazione, di risacralizzazione neopagana, di ambiguo ma imponente ritorno al Sacro.
Fa osservare acutamente Lyotard che ognuna delle grandi narrazioni della modernità si è dissolta dopo essere stata invalidata dalla storia: l'Illuminismo dalla degenerazione del progresso; l'idealismo dal nazismo e da Auschwitz (almeno questo crimine, che è "reale", non è "razionale"); il marxismo dallo stanilismo; il capitalismo dalla crisi del 1929 e (oggi) dalla crescita senza sviluppo. E però proprio quest'ultimo, nel tempo della globalizzazione, sembra essere l'unica narrazione ideologica dominante.
In alcuni importanti lavori (A. Gargani, La crisi della ragione, Einaudi, Torino 1979; M. Pera, Il mondo incerto, Laterza, Roma-Bari 1994) in cui si fa il tentativo di ricostruire storicamente la parabola del sapere scientifico nell'epoca moderna, si mostra come la scienza poggiasse non già su fondamenti sicuri quanto su palafitte. Un po' alla volta si è sgretolato l'ottimismo di Cartesio (idee chiare e distinte), di Galileo (l'esperimento), di Bacone (Sapere è Potere), di Newton (le leggi della natura), di Kant (l'età maggiorenne della ragione&). Sono saltati uno dopo l'altro i presupposti del sapere scientifico: l'oggettività (a causa dell'interferenza dell'osservatore); la neutralità (a causa degli interessi del soggetto); la scomposizione del reale (a causa dell'irriducibilità della complessità); l'inconfutabilità (a causa della falsificabilità, del cambio di paradigma)& e su su fino al secondo Wittgenstein, al teorema di Gödel, all'epistemologia anarchica di Feyerabend.
Il passaggio d'epoca dal moderno al post-moderno riguarda non solo il mondo delle abitudini di vita e degli atteggiamenti sociali, ma lo stesso modo di pensare, le forme della conoscenza. Stiamo abbandonando il modo lineare e causale di conoscere (che ha caratterizzato l'epoca moderna) e cominciamo a pensare in termini di interdipendenza e di circolarità. Dal pensiero sequenziale a quello reticolare.
Da un pensiero prevalentemente analitico, logico e dimostrativo si sta passando ad un pensiero prevalentemente olistico, sistemico, narrativo, plurale, analogico, mosaicale, a rete, per interconnessioni. Ecco allora emergere l'importanza del "margine", dello "scarto", delle "sporgenze", delle "pieghe", dei "silenzi", delle "sfumature", delle "invasioni di campo", delle "ibridazioni", delle "contaminazioni cognitive". È questo un nuovo modo di pensare e di agire che si sta facendo strada nella cultura contemporanea ma che in molti ambienti fatica ad affermarsi.

c)

Terzo scenario: La società cognitiva-multimediale
Le nuove tecnologie della comunicazione hanno trasformato la nostra società in un unico sistema globale multimediale. Per questo si parla di società cognitiva, perché la conoscenza e la gestione delle informazioni sono una precondizione per la vita quotidiana e professionale. Chi non possiede i nuovi codici e linguaggi rischia seriamente di essere tagliato fuori dalla realtà sociale come un analfabeta.Nella società cognitiva non esiste più età dell'apprendimento. I diplomi, le lauree, le specializzazioni hanno vita breve. Bisogna continuamente apprendere, a tutte le età, perché le trasformazioni sono molteplici e accelerate. E le conoscenze già acquisite diventano rapidamente obsolete.
Cyberspazio, agorà telematica, intelligenza collettiva, impermedialità, cultura di rete, ipertestualità sono parole ricorrenti nella società cognitiva e multimediale.
Il bambino multimediale è dotato di un sensorio globale ed esige un linguaggio globale. C'è da prendere atto - come osservano M. Groppo e M. C. Locatelli - che "il modello epistemologico 'reticolare' che nasce dalla conoscenza multimediale è un modello cognitivamente più ricco di quello sequenziale del libro, poiché sollecita percorsi e associazioni molteplici, sviluppando gli aspetti divergenti dell'intelligenza che più si avvicinano alla creatività". Nella nostra società si profila il pericolo che la popolazione si distribuisca in tre gruppi, cioè coloro che sanno interpretare e utilizzare l'informazione, coloro che sono capaci di servirsene e coloro che non sono in grado di fare né l'una né l'altra cosa.
Nel volume di Roberto Maragliano Manuale di didattica multimediale (Laterza, Roma-Bari 1994), si mostra con grande chiarezza come: televisione e computer non sono semplici macchine, ma apparati di conoscenza, metafore di un nuovo regime mentale caratterizzato da fluidità, contaminazione, interattività.
La stampa, la TV, il telefono, il computer, i media nel loro complesso "fanno sistema": si appoggiano l'uno all'altro, integrano le loro funzioni, entrano in rapporti di dialogo e di scambio reciproco. Anche i saperi che i media veicolano "fanno sistema": i loro rapporti e i loro movimenti interni sono di sostegno reciproco, di integrazione, di dialogo. Tutto si mescola con tutto, al di là delle tradizionali divisioni dell'accademia e dello scaffale.
Al passaggio dal monoculturale all'interculturale deve dunque affiancarsi il passaggio dal monomediale al multimediale.
Tuttavia, per formare nuovi profili di uomo e di cittadino non basta certo il computer, così come per fare nuova la scuola non basta introdurre il banco a due piazze: da una parte il libro e la penna, dall'altra gli ipertesti e il mouse.
Dobbiamo anche tener conto degli effetti della comunicazione virtuale sulla persona. Più il bambino è esposto ai mass media, alla realtà virtuale, più avrà bisogno di essere educato ai rapporti faccia a faccia, al dialogo io-tu, alla intersoggettività.

d)

Quarto scenario: Il meticciamento etnico-culturale
Se agli scenari precedentemente delineati si aggiunge il riferimento ai flussi migratori che interessano anche il nostro Paese, emerge un quarto scenario caratterizzato dalla coabitazione delle differenze, anche religiose, del meticciamento etnico.
Una vera e propria "cultura-Mondo".
In questa società del meticciamento abbiamo bisogno di integrare la pedagogia dell'identità (quella classica e tradizionale del "Conosci te stesso") con una pedagogia del volto, cioè della relazione, della differenza, della reciprocità.
Diventa dunque ancora più importante educare il cittadino italiano ad una coscienza nazionale e ad una identità culturale che lo rendano consapevole delle proprie radici e della propria memoria storica. Il fatto che oggi la scuola italiana si trovi ad operare in una situazione di multiculturalismo non deve però diventare una ragione per abdicare al principio di unità della proposta educativa (se è visto dalla parte dell'istituzione scolastica) e al principio di unità del sapere (se è vista dalla parte del soggetto in apprendimento).
Sarebbe impensabile un progetto educativo, anche multiculturale o interculturale, senza un suo centro. Per questo, la scuola italiana dovrà essere capace di precisare una sua identità nella più complessa identità culturale europea.
Come si afferma nella "Proposta di documento comune sui saperi della scuola" (a cura di Roberto Maragliano), la forza propulsiva della nuova riforma della scuola deve essere quella di "Educare alla democrazia".
A noi sembra che anche i contenuti e le dimensioni di questa educazione siano già ben delineati nel documento richiamato. Si dice infatti:

  • Educare alla democrazia" significa, prima di tutto, preparare le future generazioni italiane a contribuire in pieno alla creazione di una più ampia democrazia europea; una democrazia che sia basata sull'uguaglianza di genere, la tolleranza, il pluralismo, il rispetto per le minoranze etniche, la giustizia sociale.
  • Educare alla democrazia" significa anche dare ai giovani italiani una istruzione che li qualifichi per il moderno mondo del lavoro. Bisogna che ci sia un'insistenza nuova sui diversi linguaggi della modernità: tecnici, scientifici, culturali.
  • "Educare alla democrazia" significa istruire i giovani sugli specifici tratti culturali e socio-economici del loro paese; non per intenti nazionalistici, per vantare un primato di questi tratti, ma affinché essi possano capire meglio, sviluppare e imparare ad amare la loro identità nazionale. Una parte di tale identità è la grande tradizione italiana delle arti ricreative: figurative, musicali e letterarie. Un'altra parte, più recente e insufficientemente apprezzata, è la straordinaria vitalità e creatività delle piccole imprese nazionali.

 

3. Per quali profili di uomo, di donna e di cittadino?

Fra le dimensioni, i tratti costitutivi, le qualità essenziali che dovrebbero caratterizzare tali profili (l'Io di ciascuno, l'identità) intendiamo sottolineare e dare priorità ai seguenti:

a)

Verso un "Io" accogliente-narrante, capace di reciprocità
La scuola è il luogo in cui il soggetto umano impara ad essere "se stesso" e per conseguire tale obiettivo offre strumenti e opportunità che rendono possibile la ricostruzione della memoria storica, la comprensione della sua identità culturale, l'elaborazione personale di un progetto di vita. Dunque, la scuola aiuta il soggetto a raccordare coerentemente in se stesso questi tre elementi costitutivi: memoria, identità, progetto.
Una dimensione costituitiva dell'Io che l'educazione deve aiutare a svilupparsi è quella dell'accoglienza, dell'ospitalità, dell'ascolto di sé e degli altri, la capacità di concentrazione, l'autostima.
Ascolto e narrazione sono alla base di un Io comunicativo, capace di avviare relazioni di reciprocità.
Nell'ottica di una pedagogia del volto e della relazione, il rapporto con l'altro non è vissuto riduttivamente come occasione per allargare le nostre conoscenze, ma come una pressante richiesta di giustizia: un profondo impegno di reciproca umanizzazione. La prima relazione con un altro, infatti non è conoscitiva ma "etica" (Lévinas).
Una persona è matura quando sa accogliere la trascendenza dell'altro e valorizzare la propria parzialità.
Quando parliamo dell'accoglienza vogliamo spingere il discorso fino agli estremi: affermare, cioè, che l'Altro è visitazione, che in principio è l'Altro e che, dunque, l'autentico educare è sempre un educare a partire dall'altro.

b)

Verso un "Io" libero-autonomo-selettivo, capace di resistenza
Oggi l'educazione deve offrire i criteri che consentono all'alunno di "selezionare" il surplus di informazioni e messaggi che riceve nel corso della giornata. Si potrebbe anche parlare dell'opportunità di favorire la formazione di un Io Selettivo e in ogni caso dell'acquisizione di criteri di orientamento, parametri di giudizio, capacità di autodecisione. Io Selettivo, vuol dire competente nelle scelte, esperto nel discernimento critico, capace di dire sì o no.
In questo senso possiamo anche sperare che il cittadino sia in grado di resistere al pensiero unico, di non lasciarsi omologare, di conservare ciò che di originale porta dentro di sé.

c)

Verso un "Io" responsabile-cooperativo, dotato di forte coscienza civica
La sfida dei nuovi scenari non ci porta solo ad una pedagogia della resistenza, come se tutto si riducesse a cercare le forme di auto-protezione per essere travolti dal pensiero unico, ma deve condurre soprattutto ad una pedagogia della responsabilità che spinga a farci carico, a prenderci cura, a sentirci responsabili dell'intera famiglia umana e del pianeta Terra.
È vero, infatti che dovunque siamo, siamo da qualche parte, ma è altrettanto vero che la nostra responsabilità non finisce dove finiamo noi.
Il vero dramma è che tante persone ancora oggi vivono in una società planetaria, ma con una coscienza pre-planetaria. La forte coscienza civica di cui parliamo deve essere alla base di una piena cittadinanza nazionale, europea, planetaria.
Senza una buona educazione civica è difficile sperare in una serena convivenza sociale. I cittadini devono avere chiare le ragioni per cui sono tenuti a rispettare le "regole" e le "norme" che sono a fondamento della vita sociale e della democrazia.
L'educazione ai diritti umani, alla democrazia e alla legalità è un obiettivo prioritario anche per rifondare una cultura del Bene comune.
Centrale in tutto questo appare la formazione di un "Io cooperativo" in una società che vede dilagare l'affermazione dell'"Io-competitivo".

d)

Verso un "Io" nomade-creativo, aperto alla mondialità

"Lo vogliamo o no, stiamo ridiventando nomadi. Dal mondo in corsa, non possiamo più scendere. Imprevedibile e rischiosa, questa situazione assomiglia ad una discesa lungo rapide sconosciute" (Levy). "Come progettare educazione correndo?" si chiede Maragliano poiché l'uomo di oggi appare senza fissa dimora.
All'espressione "voglio andare a casa", la canzone di Jovanotti risponde con un interrogativo: "la casa dov'è?". Questo per dire che la dimora fissa, non c'è più, o, se c'è, è molto precaria.
La mente dell'uomo di oggi è quella del viaggiatore che vive errando, con una cultura del "trasloco". Oggi il compito dell'educare non è più, soltanto, quello di trasmettere e tramandare ma di imparare a transitare insieme senza perderci.
Per questo bisognerà formare, nel bambino viandante-planetario di oggi, la capacità di orientamento, di usare una bussola.
Una pedagogia del viaggio, si potrebbe dire, poiché il Viaggio è veramente una delle più efficaci metafore della relazione educativa. Il viaggio ci aiuta a liberarci da stereotipi e da etnocentrismi. La costruzione di un futuro più umano e di una società sostenibile ci chiede proprio questo. Ha ragione Serge Latouche: "bisogna decolonizzare il nostro immaginario se vogliamo veramente cambiare il mondo".
Forse uno dei primi compiti dell'educazione è oggi quello di non adagiarsi sulle mille culture del "post" (post-moderno, post-industriale, post-cristiano, post-ideologico, post-storico& fino a post-umano&) ma di dare vita ad una cultura del "pre", almeno nel senso più umile della preparazione di un futuro che verrà. Crediamo infatti che gli Educatori debbano collocarsi nel tempo presente non soltanto come "deriva" e "declino" del tempo passato, ma anche come "attesa", "anticipazione" e "costruzione" del tempo futuro.

 

 


 

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