PEDAGOGIA INTERCULTURALE

 

Uno schema di riferimento: dalla monocultura allinterculturalitá

Perché leducazione interculturale sia seguita e monitorata costantemente, occorre anzitutto conoscere le esperienze in atto, a partire dallindagine, attivata dalla C.M. 308, sulleducazione interculturale e sulla presenza di stranieri nelle scuole dellinfanzia, elementari e medie. In secondo luogo occorre pensare ad un vero e proprio osservatorio sulla educazione interculturale, per valutare lefficacia delle singole iniziative e per formulare proposte di adeguamento.

Dalla monocultura allinterculturalità

Dimensioni

Atteggiamento monoculturale Atteggiamento interculturale
Dimensioni

Considera il tempo come successione e passaggio da una fase allaltra: come cumulativo, irreversibile: intrinsecamente finalistico.

Vive il tempo come una contemporaneità di esperienze che fra loro interagiscono senza soluzione di continuità. Il tempo è una produzione interiore e casuale.

Lo spazio

Valuta lo spazio come un punto di riferimento unico e immodificabile da difendere o dilatare in funzione di un potere maggiore sugli spazi degli altri. Lo spazio è il proprio territorio che ci si porta appresso anche nel viaggio.

Ritiene lo spazio un bisogno contingente e, soprattutto, un dato psicologico necessario alla propria autonomia. È disponibile ad abitare più spazi contemporaneamente e a crearli in funzione delle necessità, riconoscendo agli altri il loro.

Lidentità

Considera lidentità una struttura immodificabile e data una volta per tutte, sulla quale poggiare la manifestazione dei valori ritenuti gli "organizzatori" stabili della realtà e del rapporto con gli altri. Lidentità qui si afferma a spese degli altri o nel conflitto, perché le proprie mappe possano sostituire quelle degli altri.

Lidentità è un processo in continuo divenire nelle sue alterazioni progressive, dove continuità e discontinuità si avvicendano. È necessariamente relazionale e quindi aperta al cambiamento delle esperienze e alla sostituzione dei punti di riferimento. I valori sono qui mappe e bussole provvisorie: si accetta di confrontare le proprie con le mappe degli altri per migliorarle.

Leducazione

Leducazione si è compiuta una volta per tutte e non sopporta revisioni e innovazioni. Poggia sui valori che possono fornire al soggetto quella e soltanto quella configurazione mentale, affettiva e comportamentale. Poggia su fondamenti e certezze e sulla loro ripetizione e trasmessibilità.

Leducazione si compie in una perenne dialettica tra il vecchio e il nuovo, leducazione è unesperienza che conferisce unidentità contingente e pratica, necessaria a risolvere problemi sempre diversi. Poggia sul metodo per affrontare lincertezza, accettata come condizione vitale.

(da: D. Demetrio G. Favaro, Immigrazione e pedagogia interculturale, La Nuova Italia, Firenze, 1992, p. XII).

 

Pedagogia e interculturalitá
a cura di Antonio Nanni e Claudio Economi

Ha scritto Vaclav Havel: "non possiamo aspettarci di raccogliere i fiori che non abbiamo mai piantato". Ciò vuol dire che dobbiamo avere il coraggio di "osare", di avere fiducia e speranza almeno nel "piantare", nel gettare semi nel cuore degli uomini e delle donne di questo mondo. Dobbiamo saper camminare con piccoli passi ma avendo dinanzi a noi grandi orizzonti. Non è facile costruire insieme una "paideia" per il nuovo millennio ma è certo che non potrà essere la stessa dei millenni precedenti o semplicemente degli ultimi decenni. Siamo veramente di fronte ad un passaggio depoca e dunque ad un cambio di paradigmi. Non si tratta di operare un cambiamento di mentalità ma di acquistare una mentalità di cambiamento, una spiritualità da viandanti, un pensiero nomade. "Paideia" è una parola antica che indica il complesso dellofferta formativa che il mondo adulto tenta di elaborare e di proporre alle nuove generazioni, per assicurare continuità e cambiamento, tradizione e novità. Noi, almeno nei paesi occidentali, proveniamo da una tradizione filosofica e pedagogica molto ben radicata sul principio "conosci te stesso" (... tanto laltro è uguale a te, oppure è barbaro, pagano, infedele ...). Insomma: se conosci te stesso (lidentità) hai conosciuto ciò che è essenziale. E questo basta. Ma che ne è di questo principio quando laltro è proprio diverso e io non riesco più a considerarlo un barbaro, un estraneo, ne a restare indifferente di fronte a lui? La svolta antropologica da compiere sta proprio qui.
Questa metanoia diventa possibile soltanto se ci mettiamo in viaggio verso laltro, come viandanti, uomini e donne "in esodo". Sono in molti a sottolineare che laltro è oggi la questione del pensiero. Ma unetica del volto e una cultura della reciprocità non si improvvisano. Tale scelta è possibile soltanto se il soggetto storicamente dominante accetta il proprio depotenziamento e la propria auto-decostruzione (un atteggiamento antropologico che affonda le sue radici nella teologia della Kenosi). In questo modo nascerà la possibilità di un incontro vero, perché ci si colloca in una situazione di parità reale e non solo fittizia, nella quale non si chiede che sia soltanto laltro a cambiare, ma siamo anche noi a porci nella situazione di cambiamento. Proprio perché assumiamo un atteggiamento severo di depotenziamento, laltro è invitato a fare altrettanto. Si crea così il principio di reciprocità: ognuno può dare e può ricevere qualcosa. A chi ha paura di perdere la propria identità culturale, facciamo notare che non è dalla reciprocità che deve temere questo, semmai dallimperialismo economico che tende a omogeneizzare i comportamenti e le mentalità.
Ma il rapporto tra le culture non deve essere idealizzato perché si colloca sempre allinterno di un rapporto conflittuale di forza che finisce inevitabilmente per produrre "asimmetria" e "squilibrio". La vera sfida che abbiamo davanti è allora la seguente: come passare dalla "conflittualità" delle differenze alla "convivialità" delle differenze (o almeno ad un riduzione della conflittualità). Una comunità formata da soggetti appartenenti a diverse religioni, culture ed etnie (si pensi a Nevé Shalom deve essere consapevole di rappresentare un luogo profetico e di costituire il terreno più avanzato di sperimentazione della convivenza, e merita pertanto ogni appoggio da parte di chi ha a cuore il futuro "conviviale" dellumanità.

 

Alcuni compagni di viaggio

Nella prospettiva di una nuova paideia per il Terzo Millennio scegliamo alcuni compagni di viaggio fra i molti possibili. Comenio per lEuropa, Tagore per lAsia, Paulo Freire per lAmerica Latina, Hampata Bâ per lAfrica.

1. JAN AMOS KOMENSKY (Moravia)

Come ha scritto G. Fornizzi nel bel saggio Linterculturalità nella storia della pedagogia, Komensky, nelletà moderna, è stato certamente il primo a voler abbattere certe frontiere: omnes significa per lui tutti, assolutamente tutti, proprio in contrapposizione con le tradizionali chiusure, con precisazioni che già rompono steccati secolari e anticipano convinzioni trasformatesi poi in capisaldi ovvii e indiscutibili. E indicare in quegli omnes i bambini, le donne, i vecchi, e perfino gli anormali ecc. voleva già dire aprirsi nuovi varchi, calcare nuove strade.
Il suo pensiero pedagogico è fortemente caratterizzato da un respiro universale quale mai prima di lui si era visto e sentito in campo educativo. La via della luce scritta nel 1640 su richiesta di alcuni amici parlamentari e uomini di cultura inglesi, può a buon diritto essere considerata unopera la prima della storia della pedagogia scritta allinsegna dellintercultura. In esso la cultura viene rappresentata come la luce che deve illuminare tutti gli uomini. Perché questa luce divenga accessibile ad ogni uomo si dice uomo, senza badare a niente altro che alla qualifica prima e imprescindibile: lumanità Komensky propone:

  1. libri universali,
  2. scuole universali,
  3. collegio universale,
  4. lingua universale.

I valori particolari restano con i loro contenuti di autenticità, tuttavia se non concorrono a formare luomo in quanto tale diventano deleteri, distruttivi, appartengono alla follia delle separazioni, delle discordie, delle guerre, invece che allutopia costruttrice della pace, allideale umano universale dellunità.

2. TAGORE

Rabindranath Tagore (1861 - 1941), che è stato un "poeta universale", sollecitato dalla sua premiazione con il Nobel per la Letteratura del 1913 e dalla sua desolazione per le miserie della prima guerra mondiale, creerà una casa di incontro per uomini di tutto il mondo, a qualunque gruppo etnico, classe sociale o credo appartenessero. La piccola scuola della "Casa della pace" a Santieneketon, trasformata in una Università Mondiale dal nome di Bisso Bharoti, tra i suoi obiettivi aveva il seguente : "luomo in qualsiasi posto egli sia, se ha prodotto qualcosa di valore eterno, non può reclamarlo esclusivamente per se stesso e per il suo popolo, perché appartiene, come i diritti acquisiti sin dalla nascita come essere umano, ad ogni uomo" (cfr., Tagore R., Sissu, ed. Guaneb, 1979).

3. FREIRE

Paulo Freire (n.1912) ha parlato del superamento di una coscienza intransitiva in una direzione di una coscienza transitiva: la prima indica la chiusura invalicabile nel proprio concreto vivere situazionale senza alcuna possibilità di critico superamento; la seconda si muove nella direzione di formare luomo come persona critica, coscienzatizzata, autonoma, creativa e democratica, non più "oppressa": "...Quando dico educazione penso ad un processo di acquisizione di conoscenza a favore non della libertà, bensì della liberazione... Non si smette mai di cercare la libertà..." (cfr., Freire P., Il canto della liberazione, in Bambini 90, VI (1990), n.8).

4. HAMPATÈ BÂ

La civiltà africana, non solo negata ma resa inammissibile durante il secolo del colonialismo, ha ritrovato attualmente le sue voci. Nel processo evolutivo delle reazioni tra lOccidente e il Terzo Mondo, grande peso hanno avuto politici, letterati, filosofi e artisti nativi. Tra questi un posto di rilevo occupa A. Hampatè Bâ che ha dedicato la sua vita a conservare e difendere la cultura africana; ma ciò non con mentalità statica rivolta sterilmente ad un passato nostalgico; bensì con mentalità dinamica: "la tradizione orale dei popoli africani e la realtà su cui si deve poggiare una cultura viva e vitale, che si evolve nel contatto con le culture esterne senza perciò perdere la propria identità (cfr., Introduzione, a cura di Volpini D., in A. Hampatè Bâ, Aspetti della civiltà africana. Mutamento culturale ed Evangelizzazione, Biblioteca Nigrizia, Bologna 1975).
A tal riguardo, così ha scritto il filosofo africano: "La riabilitazione delle lingue africane di base permetterebbe, da parte sua, di valorizzare la tradizione originale di ogni etnia, di pensare nella sua lingua, di raccogliere le tradizioni nella loro lingua senza perderne il sapore e la finezza, come accade invece, inevitabilmente, nelle traduzioni, che "mancano di sale" rispetto alloriginale [...]. Si tratta secondo me di aiutare lAfrica a conservare ed a sviluppare la propria personalità, e di permettere di parlare di se stessa. Spetta infatti agli Africani di parlare dellAfrica agli stranieri, e non a questi ultimi, per colti che essi siano, di parlare dellAfrica agli Africani. Come dice un proverbio del Mali: "Quando si è in presenza di una capra, non si deve belare in vece sua". Troppo spesso, infatti, ci hanno attribuito delle intenzioni che non abbiamo, hanno interpretato i nostri costumi o le nostre tradizioni in funzione di una logica che, senza cessare di essere logica, non lo è per noi. Le differenze di psicologia e di comprensione falsano le interpretazioni date dallesterno". (Hampatè Bâ, op. cit., pp. 97-98)

Indicazioni bibliografiche

  • Acone G., Lultima frontiera delleducazione, La Scuola, Brescia 1986.
  • Formizzi G., Linterculturalità nella storia della pedagogia, in Agosti A., (a cura), Interculturalità e insegnamento, SEI, Torino 1996.
  • Gianola P., Pedagogia allappuntamento del 2000, in "Orientamenti Pedagogici", 42 (1995), pp. 190.
  • Montessori M., Educazione e pace, Garzanti, Milano 1970.
  • Nanni A., Educare alla convivialità, EMI, Bologna 1994, 2a ed. 1995.
  • Nanni A., Pedagogia del volto. Leducazione dopo Lévinas, in corso di pubblicazione presso la rivista "Testimonianze".
  • Panikkar R., La torre di Babele, ECP, Fiesole 1990.
  • Vico G., Leducazione frammentata, La scuola, Brescia 1995.
  • Vico G. - Santerini M., Educare dopo Auschwitz, Ed. Vita e Pensiero, Milano 1995.
  • Santerini M., Cittadini del mondo, La scuola, Brescia 1995.

 

Riprogettiamo la scuola in prospettiva interculturale
a cura di Antonio Nanni

Premessa
Per quel che riguarda leducazione interculturale, in Italia siamo ancora all'inizio di una alfabetizzazione interculturale, sia sul piano teorico-pedagogico, sia sul piano pratico-didattico. Stando dentro questo cammino, tuttavia lo sforzo di ciascuno di noi dovrebbe essere quello di offrire un contributo, per quanto modesto, per far compiere un passo avanti nella direzione di una sempre più matura e qualificata educazione interculturale.

1. Da dove partire?

Mi metto nei panni di un insegnante che è già convinto della necessità di una educazione interculturale e che ora deve affrontare non il problema della "motivazione" (che sente di aver risolto) ma quello dell'operatività.
Il problema, cioè, non è più: "perchè l'interculturalità", ma "come fare interculturalità?"
E in particolare: "da dove partire?"
A me sembra che uno dei possibili punti di partenza possa essere individuato nelle indicazioni contenute nel "Documento di Sintesi del gruppo internazionale di lavoro per l'educazione interculturale", che è stato reso noto e veicolato con la Circolare Ministeriale nº 73 del 2 marzo 1994.
Le ragioni di questa scelta sono due: anzitutto perchè non avrebbe senso che ognuno si inventasse il suo modello di interculturalità nella scuola, ignorando gli orientamenti del Ministero, e rinunziando ad una visione unitaria pur in un quadro di pluralismo, e poi perchè il documento cui facciamo riferimento, anche se non provenisse dal Ministero, sarebbe comunque un testo molto significativo, con interessanti indicazioni operative e suggerimenti utili per promuovere iniziative ed interventi specifici.

2. Interculturalità e continuità educativa

L'interculturalità non è una nuova disciplina, non richiede la presenza di un "esperto" della materia. É invece una prospettiva globale, una dimensione trasversale e pervasiva che investe l'intero sistema educativo, dalla scuola materna all'Università.
Ciò non toglie che si possa - e che forse si debba - procedere per gradi dando spazio ad iniziative specifiche e ad interventi mirati. Ad esempio, per l'elaborazione di progetti specifici di studio potranno essere istituiti nella scuola gruppi di lavoro, come espressione dei collegi dei docenti.
In termini generali, tuttavia, l'educazione interculturale si esplica nell'attività quotidiana dei docenti, sulla base di una rinnovata professionalità e si sviluppa in un impegno progettuale e organizzativo fondato sulla collaborazione e sulla partecipazione.
Andiamo a vedere, allora, che cosa affermano le "premesse generali" dei programmi dei vari ordini di scuola (materna, elementare, media, superiore) in merito all'interculturalità intesa nella sua eccezione più ampia.

  1. Nella scuola materna

    Un'enunciazione di portata generale è contenuta negli Orientamenti didattici per la Scuola materna (3 giugno 1991):
    "L'accentuarsi delle situazioni di natura multiculturale e plurietnica, infine, di fronte alle quali si verificano talvolta atteggiamenti di intolleranza quando non addirittura di razzismo, può tradursi in occasione di arricchimento e di maturazione in vista di una convivenza basata sulla cooperazione, lo scambio e l'accettazione produttiva delle diversità come valori ed opportunità di crescita democratica".
    Ed in seguito si osserva:
    "Appare importante sviluppare nel bambino la libertà di pensiero, anche come rispetto della divergenza personale, consentendogli di cogliere il senso delle sue azioni nello spazio e nel tempo e di prendere coscienza della realtà, nonché della possibilità di considerarla e di modificarla sotto diversi punti di vista".
    Ma forse le indicazioni più interessanti le troviamo quando si illustra l'ultimo dei sei "campi di esperienza" del bambino e cioè "il sé e l'altro". Si dice infatti:
    "Le finalità specificamente considerate si volgono in primo luogo all'assunzione personalizzata dei valori della propria cultura nel quadro di quelli universalmente condivisi ed al rispetto attivo delle diversità. In secondo luogo, si rapportano alla presenza nel bambino di una capacità non soltanto di stare genericamente con gli altri, ma anche di comprendere, condividere, aiutare e cooperare, e prendono in considerazione il fatto che a questa età, in relazione con lo sviluppo cognitivo, si delinea un iniziale interesse per la sfera del giudizio morale. In terzo luogo, si riferiscono a strutture anche simbolico-culturali (organizzazioni sociali e politiche, sistemi morali, religioni) che nella loro pluralità e differenziazione hanno avuto ed hanno una presenza altamente significativa e rilevante nella vita dell'uomo, nella storia e nella cultura del nostro Paese (...)
    Il bambino, infatti, si pone e pone domande impegnative per ogni persona, e che per lui hanno anche una rilevanza cognitiva, alle quali si sono date e si continuano a dare differenti risposte, nei cui confronti è indispensabile sviluppare un atteggiamento di attenzione, comprensione, rispetto e considerazione. Pertanto, lungi dall'impedirle, dallo scoraggiarle o dal sentirsene turbati, occorre impegnarsi ad aprire con lui un dialogo franco, sincero ed ispirato ad una chiara sensibilità multiculturale (...).
    Va pure sviluppata, sul piano relazionale, comunicativo e pratico, la capacità di comprendere i bisogni e le intenzioni degli altri e di rendere interpretabili i propri, di superare il proprio esclusivo punto di vista, di accettare le diversità (in particolare quelle legate a disabilità fisiche e mentali) e ad assumere autonomamente ruoli e compiti.
    Un risalto del tutto particolare spetta all'educazione alla multiculturalità, che esige la maggior attenzione possibile per la conoscenza, il riconoscimento e la valorizzazione delle diversità che si possono riscontrare nella scuola stessa e nella vita sociale in senso ampio.
    A tale proposito è utile che l'insegnante si soffermi accuratamente sugli elementi di somiglianza che accomunano le esigenze proprie di ogni essere umano e sugli elementi di differenza riscontrabili nelle diverse risposte culturali, in modo da renderli comprensibili anche ai bambini (...)
    L'itinerario educativo va inteso e realizzato come un tirocinio morale non forzato, che conduce dalla semplice scoperta dell'esistenza dell'altro e dall'adattamento alla sua presenza al riconoscimento rispettoso dei suoi modi di essere e delle sue esigenze fino alla acquisizione di una effettiva capacità di collaborazione regolata da norme in un quadro di ideali condivisi (...)
    Una quarta articolazione riguarda lo sviluppo di un corretto atteggiamento nei confronti della religiosità e delle religioni e delle scelte dei non credenti, che è innanzitutto essenziale come motivo di reciprocità, fratellanza, impegno costruttivo, spirito di pace e sentimento dell'unità del genere umano in un'epoca di crescenti spinte all'interazione multiculturale ed anche multiconfessionale. Questa situazione rende particolarmente rilevante ogni intervento volto ad evitare le distorsioni (come l'assunzione di comportamenti di discriminazione) che possono conseguire all'assenza di una equilibrata azione educativa.

  2. Nella scuola elementare

    I programmi per la Scuola Elementare del 12 febbraio 1985 rilevano che "la Scuola deve operare... perchè il fanciullo abbia basilare consapevolezza delle varie forme di diversità o di emarginazione allo scopo di prevenire e contrastare la formazione di stereotipi e pregiudizi nei confronti di persone e culture". Questi principi trovano convalida nella legge di riforma dell'ordinamento della Scuola elementare (L. 5-6-1990, n. 148) che inserisce, nelle finalità generali, "il rispetto e la valorizzazione delle diversità individuali, sociali e culturali".
    Si dice, in seguito, che il fanciullo sarà portato a rendersi conto che "tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali" (art. 3 Costituzione).
    La scuola è impegnata ad operare perchè questo fondamentale principio della convivenza democratica non venga inteso come passiva indifferenza e sollecita gli alunni a divenire consapevoli delle proprie idee e responsabili delle proprie azioni, alla luce di criteri di condotta chiari e coerenti che attuino valori riconosciuti (...), sia progressivamente guidato ad ampliare l'orizzonte culturale e sociale oltre la realtà ambientale più prossima, per riflettere, anche attingendo agli strumenti della comunicazione sociale, sulla realtà culturale e sociale più vasta, in uno spirito di comprensione e di cooperazione internazionale, con particolare riferimento alla realtà europea ed al suo precesso di integrazione (...).
    É dovere della scuola elementare evitare, per quanto possibile, che le "diversità" si trasformino in difficoltà di apprendimento e in problemi di comportamento, perchè ciò quasi sempre prelude a fenomeni di insuccesso e di mortalità scolastica e conseguentemente a disuguaglianze sul piano sociale e civile.

  3. Nella scuola media

    Nei programmi d'insegnamento della scuola media, che risalgono al 6 febbraio 1979, troviamo un passaggio che potrebbe essere stato scritto oggi per la sua fortissima attualità:
    "Ponendo gli alunni a contatto con i problemi e le culture di società diverse da quella italiana, la scuola media favorirà anche la formazione del cittadino dell'Europa e del mondo, educando ad un atteggiamento mentale di comprensione che superi ogni visione unilaterale dei problemi e ci avvicini all'intuizione di valori comuni agli uomini pur nella diversità delle civiltà, delle culture e delle strutture politiche".
    Di grande interesse anche il paragrafo dove si parla dell'unità del sapere come "interdisciplinarità". Qui si osserva che:
    " I vari insegnamenti esprimono modi diversi di articolazione del sapere, di accostamento alla realtà, di conquista, sistemazione e trasformazione di essa, e a tal fine utilizzano specifici linguaggi che convergono verso un unico obiettivo educativo: lo sviluppo della persona nella quale si realizza l'unità del sapere (...).
    In tutte le discipline deve trovare spazio l'operatività, che non è solo compito dell'educazione tecnica e dell'educazione scientifica, al fine di superare la separazione tra attività intellettuale e attività manuale".
    E anche nel paragrafo finale sulla "socializzazione" troviamo una indicazione da non dimenticare:
    "Utile sarà anche un avvio alle metodologie del vivere in democrazia che educhi ad un dibattito tanto più corretto quanto più fondato sulla tolleranza e sul rispetto reciproci e su una conoscenza della realtà, la più documentata possibile e che valga ad evitare forme distorte di competitività".

  4. Nella scuola superiore
    Ci rifacciamo al progetto della Commissione Brocca, ossia ai "Piani di studio della scuola secondaria superiore e programmi del biennio" (cfr. Editrice La Scuola, Brescia) e ai "Programmi del triennio" (cfr. Annali della P.I., Editrice Le Monnier, Firenze).
    Come è noto gli indirizzi di scuola secondaria previsti dal progetto della Commissione sono, in ordine alfabetico, i seguenti: artistici, classico, economico, linguistico, professionali, scientifico, scientifico-tecnologico, socio-psicopedagogico, tecnologici. Gli indirizzi artistici, professionali e tecnologici hanno ulteriori suddivisioni interne.
    Nel biennio delle superiori (quelle riformate) le discipline sonoa scuola superiore in questi termini:
    "Per i programmi vigenti nella Scuola secondaria superiore è necessario un sistematico impegno ad esplorare e interpretare le potenzialità interculturali di ogni disciplina. I recenti programmi sperimentali per la Scuola secondaria superiore (1992) riscontrano una "situazione socio-ambientale caratterizzata da forte complessità e da un accentuato pluralismo di modelli e di valori" e contengono significativi spunti di carattere interculturale nella trattazione delle varie discipline.
    Essi si pongono così anche come possibile chiave di rilettura degli stessi programmi vigenti. Ad esempio i programmi di lingua straniera per il biennio propongono la finalità della "formazione umana, sociale e culturale mediante il contatto con altre realtà, in un'educazione interculturale che porti a ridefinire i propri atteggiamenti nei confronti del diverso da sé".
    Nella Scuola secondaria superiore, dove la presenza straniera è più limitata e meno problematica, assumono maggiore rilevanza il motivo del confronto culturale a distanza ed il tema della prevenzione e del contrasto del razzismo e dell'antisemitismo (v. c.m. 11-3-1993, n. 71 relativa al piano nazionale di aggiornamento e c.m. 25-1-1994, n. 20 relativa all'adozione dei libri di testo).

3. L'obiettivo più ambizioso: l'interculturalità per via interdisciplinare

Non v'è dubbio che l'interculturalità esalta l'unità dell'educazione, tutela il pluralismo, integra e armonizza le differenze. E ciò è perfettamente in linea con le indicazioni ministeriali, secondo cui:
"se correttamente interpretate, tutte le discipline curriculari - sia pure in forme diverse - promuovono nell'allievo comportamenti cognitivi, gli propongono la soluzione di problemi, gli chiedono di produrre risultati verificabili, esigono che l'organizzazione concettuale e la verifica degli apprendimenti siano consolidate mediante linguaggi appropriati. Nella loro differenziata specificità le discipline sono, dunque, strumento e occasione per uno sviluppo unitario, ma articolato e ricco, di funzioni, conoscenze, capacità e orientamenti indispensabili alla maturazione di persone responsabili e in grado di compiere scelte. Si tratta del resto di soddisfare l'esigenza che il preadolescente manifesta, passando da esperienze di vita più globali e di cultura più indifferenziate, proprie della scuola primaria, a quelle più articolate e specifiche della scuola secondaria di primo grado, sulla linea della necessaria ed appropriata pluralità delle discipline e dei contributi che esse forniscono.
L'elaborazione di progetti interdisciplinari consente poi un ampiamento di prospettive e una convalida del discorso interculturale con un approccio a più voci, coinvolgente per gli alunni. La presentazione di altre culture in un'ottica interdisciplinare, che investa le espressioni letterarie, artistiche e musicali, gli elementi storici e geografici e gli aspetti della tecnica e del lavoro risulta assai più significativa. Più in generale l'allineamento temporale dello svolgimento dei programmi a livello secondario consente di cogliere gli intrecci delle correnti di pensiero, letterarie ed artistiche di determinati periodi storici. Collegamenti utili anche in funzione interculturale possono essere sviluppati tra gli insegnamenti relativi ai linguaggi non verbali che, nella terminologia dei programmi per la Scuola elementare, assumono la denominazione di "educazione all'immagine", "educazione al suono e alla musica" ed "educazione motoria". É anche da valorizzare l'ulteriore riferimento dell'educazione motoria alle attività ludiche. L'educazione alla convivenza democratica (nella Scuola elementare) o civica (nella Scuola secondaria), ponendosi come approccio trasversale alle discipline mette in luce la convergenza degli insegnamenti e si avvale degli interventi coordinati dei docenti per promuovere comportamenti civilmente e socialmente responsabili.
Anche in questo ambito si possono seguire i fili conduttori dei diritti dell'uomo, della pace, della collaborazione internazionale, del rapporto con i Paesi in via di sviluppo, dell'equilibrio ecologico.

 

 

Per capire la globalizzazione Indice Il clima nella classe e nella scuola