TAVOLA ROTONDA
Moderatore: Relatori:
Brunetto Salvarani: p. Domenico Milani 1942 - Il Prof. Gesualdo Nosengo, allora presidente dell'Unione Cattolica degli Insegnanti Medi (U.C.I.M.) viene a Parma a una conferenza alla quale partecipano tre confratelli: Augusto Luca, Mario Sguazzi e Alessandro Patacconi. Usciti dalla conferenza si chiedono lungo la strada mentre raggiungevano l'Istituto: "Perché non creare qualche cosa che interessi la missione e la scuola?". I tre, che poi si fregiarono del titolo "i re magi", iniziarono il CEM e la sigla C.E.M. era interpretata così: Centro di Educazione Missionaria. Il CEM comincia a pubblicare la sua prima rivista, un foglietto di otto pagine, che si chiamava Didattica Missionaria e che fu affiancata subito dalla pubblicazione di quattro testi il cui autore fu Don Silvio Riva, ad integrazione dell'insegnamento della religione a scuola, tradizionalmente trasmesso dal catechismo di Pio X. 1953 - Padre Augusto Luca, primo Direttore del CEM, parte per il Giappone e pochi mesi dopo anche Sandro Danieli parte per il Giappone e il sottoscritto è designato in quell'anno come Direttore del CEM. Inizio quasi immediatamente una collaborazione con il gruppo "La Scuola" di Brescia che allora si chiamava come la sua rivista più importante di allora, ma lo è anche oggi, Scuola Italiana Moderna. Ho seguito i convegni estivi, che chiamavano i "pedagogium", organizzati da Scuola Italiana Moderna, e ho avuto l'occasione di incontrare assemblee di tre, quattro, cinquecento maestri. 1954 - Entrano a far parte del CEM due giovanissimi collaboratori: Bruno Rossi e Anna Panico. Li ho reclutati rivolgendomi alla maestra che faceva il tirocinio a coloro che terminavano le scuole magistrali, con il diploma, dicendo "devi indicarmi i due migliori della tua 'covata' di quest'anno". Bruno Rossi e Anna Panico cominciano il lavoro assieme a me. Siamo in tre. 1955 - La prima svolta. Su insistenza del Prof. Vittorino Chizzolini, Direttore di Scuola Italiana Moderna, do l'esame da maestro, ero già prete, e mi iscrivo insieme a Bruno Rossi e ad Anna Panico al Magistero a Genova. Ma allora la svolta consiste in che cosa? Chizzolini diceva: "Ci sono due modi di parlare delle missioni alla scuola, o tu continui a parlare della storia di grandi missionari che sono stati anche grandi italiani all'estero ecc. ecc. , oppure tu ti inserisci in un discorso più specifico, dove la pedagogia e la psicologia entrino di diritto. Ecco che il CEM comincia a lasciare un po' la direttiva Centro di Educazione Missionaria con i sussidi catechistici, per avviarsi ad un altro tipo di sussidio che fu tradotto nel rinnovamento della rivista "Didattica missionaria", accompagnata e affiancata dalle schede didattiche del CEM. Era questa integrazione che portava il mondo al di fuori dell'ambito italiano nella scuola italiana: fu il primo tentativo di intercultura. Su queste schede del CEM è stata fatta recentemente una bellissima tesi di laurea. 1956 - Ha luogo a Parma il secondo convegno nazionale del CEM con la partecipazione di Giorgio La Pira come oratore principale. Iniziammo ad organizzare il CEM in tutta Italia con delle figure che sono rimaste tipiche nel nostro ricordo: le incaricate e gli incaricati CEM. In quello stesso anno è avvenuto un altro famigerato fatto: il sottoscritto si trova all'indirizzo di Verbania perché una classe quarta sta finendo l'anno scolastico, là incontra una maestra che si chiama Daria Bertolini. Le propongo di lasciare la scuola e di venire a Parma a lavorare con noi. Quella folle, lascia la scuola e viene a Parma. Siamo dunque in quattro. Del resto chi conosce la storia delle antiche edizioni del CEM si ricorderà di quanti libri delle collane siano stati firmati da Daria Bertolini. Nel 1959 mi laureo in pedagogia e, tornato da Genova con la mia laurea, mi presento dal mio superiore generale; proprio quando mi sentivo pronto a lavorare per il CEM, egli mi dice: "Benissimo, parti per l'Africa". (fine prima parte) Rita Vittori:
Gianni Caligaris: Solo scorrendo i titoli degli ultimi anni: "L'irruzione dell'altro", quindi l'organizzazione verso qualcuno che passa ed i limiti ed i confini che delimitano casa nostra; "Il nomade e la bussola. Il viaggio metafora della relazione educativa", "Ricordare il futuro. Memoria, identità, progetto"; "Oltre la siepe. Educare alla mondialità nell'era della globalizzazione"; e ascoltando Sachs e pensando alle diverse angolazioni sulle quali si può ragionare intorno al limite, mi sembrava proprio che queste riflessioni, questi pensieri contenessero in sé la storia della ricerca, della curiosità, del lavoro, degli sforzi, delle dialettiche e delle contraddizioni che il lavoro del CEM ha portato avanti in questi anni, sia con la rivista, con il gruppo, ma credo soprattutto con l'apporto e la creatività dei partecipanti ai vari convegni. Quindi io dirò qualcosa di molto agganciato al tema di questo convegno, al limite, che però mi sembra significativo proprio perché contiene in sé molti anni, molto lavoro, molto sudore del CEM e dei suoi convegnisti. Voglio proporre qualche stimolo intorno a questa parola del limite e credo al bisogno di metterci nei suoi confronti, cogliendone tutte le sfumature dialettiche all'esterno e all'interno di se stessa. Per esempio io credo che ci sia bisogno di lavorare nella dialettica fra limite e confine. La globalizzazione può essere fatta in tanti modi, ma è comunque un processo in cui i confini piano piano si annullano. Credo che l'abbattimento, l'annullamento dei confini possa essere salutato con una vittoria e con una ricerca. Insomma deve portare con sé la consapevolezza che se vogliamo veramente che il confine sia uno solo - quello dell'arancia blu di cui parlava Sachs - se vogliamo veramente che la risposta ad ogni domanda stupida sia quella di Einstein "razza umana", dobbiamo vivere quest'unico confine riuscendo a riconoscere tutta una serie di forti limiti e quindi dobbiamo ristrutturare il nostro ruolo e i nostri diritti all'interno di quest'unico confine. Dobbiamo declinare tutta una serie di situazioni in cui abbattere i confini comporta la sfida di un accelerare insieme la corsa verso la mancanza del limite non tanto solo verso l'illimitatezza che è una categoria astratta, quanto verso la sfrenatezza che è una categoria molto concreta che ci portiamo appresso quando siamo non curanti del bisogno dei limiti. E allora occorrerà ragionare sullo sviluppo che dev'essere senza confini ma con molti limiti, con il suo limite, sul mercato che dev'essere senza confini ma con il suo limite, su una comunicazione che non deve conoscere confini ma che deve conoscere dei limiti. Bisognerà ragionare sulla diffusione delle culture, delle religioni, del pensiero, ancora una volta senza confini ma con grandi limiti, per non andare verso il pensiero unico. Bisognerà pensare alla solidarietà che deve essere senza confini ma che deve conoscere dei limiti, perché non abbiamo bisogno di popoli tutori e popoli tutelati ma di popoli che insieme cercano un futuro. Io credo che questa dialettica tra il confine che è un limite per certi versi negativo in quanto racchiude e il limite che invece è la autoridefinizione consapevole e responsabile dei nostri spazi di diritto e di consumo, sia una delle sfide forti che viene dalla riflessione sul limite e che però per certi versi sia anche un po' il glutine di ciò che nel lavoro di tanti anni abbiamo lentamente costruito nelle nostre ricerche, nelle nostre consapevolezze. Ma d'altro canto limite non è sicuramente una categoria assoluta, ci sono anche molti limiti da abbattere. I limiti che abbiamo maturato nella nostra crescita, nella nostra maturità, nel nostro diventare adulti, il limite alla curiosità, alla speranza, al sogno, all'utopia che ci siamo autoimposti e che magari senza volerlo imponiamo anche ai più giovani. Questi sono limiti sui quali credo dobbiamo riflettere per ridurre il più possibile l'impatto sulla volontà, sulla facoltà di creare o di avere delle idee, di cercare di strappare la gioia ai giorni futuri. Un'altra dialettica che credo sia molto importante all'interno del ragionamento sul limite, e questa me la sento addosso da molti ragionamenti di molti anni all'interno delle nostre riflessioni, è quella tra due tipi di limite:
Vi lascio con un racconto: un racconto di dieci parole fra le più strazianti che abbia mai letto ed è di Eduardo Galeano. Narra di un medico in un ospedale del Salvador tra bambini abbandonati, che la sera di Natale sta per andare a casa dopo un turno lunghissimo e sente nel corridoio dietro di lui dei "passi di cotone". Si volta e vede un bambino con gli occhi già grandi, già consumato dalla malattia, che gli dice: "Senti, dillo& dillo& a qualcuno che io sto qui". Mi sembra che nella disperazione del bambino che capisce il proprio limite - che è quello della solitudine, di non aver nessuno a cui far sapere la propria condizione -, ma che comunque non accetta questo limite, ci sia una grande indicazione di un limite che va assolutamente sfondato il limite basso dell'ascolto, il limite basso dei decibel oltre i quali non riusciamo a sentire. Allora vi lascio con questa suggestione: uno dei limiti che sicuramente dobbiamo sfondare è quello della capacità, - intanto che pensiamo alle proiezioni verso i limiti alti, al bisogno di limitare noi stessi, al bisogno di trovare queste nuove proposizioni - verso il basso. Il bisogno di sfondare verso il basso il limite dell'udibilità, il limite dell'ascolto perché tutti i "passi di cotone" che passano per il mondo abbiano una risposta all'interno di tutti gli interrogativi che ci poniamo. p. Domenico Milani: 1986. Dopo 26 anni torno dall'Africa e mi hanno rimesso alla direzione del CEM e ho avuto la fortuna di incontrarmi con un gruppo di collaboratori che chiamerò, in sintesi, il gruppo di Roma e il gruppo di Piacenza. Il gruppo di Roma era condotto dal Prof. Antonio Nanni, già Vicedirettore del CEM, che conobbi allora e il gruppo di Piacenza era condotto da Daniele Novara. Poi le vicende fanno sì che Daniele Novara fondi il Centro Psicopedagogico per la Pace a Piacenza. Il CEM nel frattempo ha cambiato nome: non è più il Centro di Educazione Missionaria, ma il Centro di Educazione alla Mondialità. Questa apertura era già stata sentita dal Prof. Chizzolini, il quale vedeva nel termine "missionario" il rischio che, andando io a parlare a degli insegnanti come professore di filosofia e pedagogia, potesse suonare restrittivo. Tanto più che un'aria di un certo laicismo sano affiorava già allora, benché soprattutto nella prima epoca il CEM fosse indirizzato alle scuole elementari e gli abbonati fossero quasi tutti di matrice cristiana. Intanto hanno luogo in questi anni dei convegni CEM che considero delle tappe: 1987 a Sassone - Ciampino: "L'educazione sommersa si fa proposta", come sviluppo di quello dell'anno prima che aveva avuto il titolo: "Liberare l'educazione sommersa"; 1988: ad Arezzo: "Convivialità, un futuro per l'educazione" - questo termine è arrivato a me tramite Nanni -; 1989: a Macerata: "La terra e l'uomo. Nuovi alfabeti per l'educazione."; 1990: ad Assisi: "Il volto dell'altro"; 1991: ad Assisi: "L'irruzione dell'altro"; 1992: ad Assisi: "Non sono parole."; 1993: ad Assisi: "Ricordare il futuro."; 1994: ad Assisi: "Sulle strade del desiderio."; 1995: ad Assisi: "Una città per narrare"; 1996: ad Assisi: "Il nomade e la bussola"; 1997: ad Assisi: "Oltre la siepe"; ed eccoci quest'anno a Città di Castello a trattare del limite e della educazione alla sobrietà. In questi 12 anni di lavoro dopo il mio ritorno dall'Africa, ho avuto anche la fortuna di avere attorno a me un'altra vasta rete di collaboratori che costituiscono un po' il nucleo portante del CEM, il Comitato di Direzione, il Comitato di Redazione, la Consulta Nazionale e il Gruppo degli Animatori e dei Conduttori dei laboratori del CEM. Penso di poter dire a p. Arnaldo De Vidi e anche a voi che vale la pena continuare la narrazione della storia del CEM. Io ho cercato di seguire questa politica: "Far fare e lasciar fare a coloro che sanno fare". Rita Vittori: Tutti i convegni CEM hanno puntato sulla trasformazione di un modo di relazionarsi, ma anche di fare scuola, di stare con i ragazzi in modo diverso, meno intellettuale, dove il vero centro di potere fosse il gruppo. L'obiettivo di questi laboratori è non solo dare dei contributi, ma soprattutto offrire degli esempi, delle metodologie che possono essere poi recuperate, ritrasformate, ma dove il messaggio è che le cose si fanno insieme. Non c'è chi sa di più o chi sa di meno, ma c'è qualcuno che è più avanti rispetto a un altro e ha il ruolo di guida, di accompagnamento.
E per finire mi piace leggere una massima tratta dal libro più antico del mondo che è l'insegnamento del saggio egizio Phtaotep del buon uso della parola (è bene recuperare anche dei testi della tradizione in modo che le parole siano come dei sassi, e non siano solamente delle cose da consumare). "Se sei un uomo eccellente e di cui ci si fida, che siede nel consiglio del suo signore, raduna ogni cuore verso la perfezione. Sii silenzioso - il silenzio è più utile che la chiacchiera -, parla soltanto quando sai che porterai una soluzione. Dev'essere un eccellente artigiano colui che parla del consiglio, parlare è più difficile che ogni altro lavoro". Gianni Caligaris: Vi sono poi delle cose anche molto più pratiche, molto più quotidiane: bilanci di giustizia, ad esempio, e non a caso Sachs ne è un grande amico e collaboratore. È proprio un tentativo culturale e pragmatico di ridefinire il proprio stile di vita, il proprio stile di consumo, il proprio stile di rapporto con le proposte, le lusinghe o quant'altro la società ci pone. Credo che un altro campo di riflessione sia la necessità di aiutarci a vicenda ad allargare l'ambito della responsabilità. Il mio bisnonno si sentiva molto responsabile verso la sua famiglia; mio nonno si sentiva responsabile verso la sua città, oltre che verso la famiglia; mio padre si sentiva responsabile all'interno della nazione, dello stato: i confini s'allargano. Ora l'arancia blu ci invita a ricordare che la nostra responsabilità va tanto lontano quanto la nostra consapevolezza e che la foto dell'arancia blu ci mette di fronte ad una consapevolezza irrinunciabile: che quello è il confine della nostra responsabilità. Tutto ciò che oggi si muove all'interno delle riflessioni su un diverso modo di rapportarsi con le sfide, con i pericoli e con i comportamenti all'interno dell'agire economico, ha un diritto di cittadinanza fortissima all'interno dei nostri ragionamenti sul limite, ma anche sulla convivialità, piuttosto che sulla diversità. Quindi tutto ciò che oggi si muove in Italia e nel mondo all'interno della finanza etica, del commercio equo e solidale& sono tutte strumentazioni di revisione critica che si muovono all'interno di un concetto di ridefinizione dei limiti e di ridefinizione dei luoghi e degli spazi. Ci possiamo riagganciare ancora all'anno scorso, a Petrella e alle strategie di resistenza ad un tipo di globalizzazione. E quindi la ridefinizione creativa che "nessuno può insegnare a nessun altro", ma che è solo una indicazione di larga massima di tutte quelle strategie di resistenza che non significano negare la globalizzazione, ma significano invertirne il senso presuppone:
Vorrei chiudere con una suggestione per certi versi poco economica ma che però credo abbia un certo senso all'interno dei richiami di Sachs sul limite e sulla lentezza. Se la velocità o la lentezza di un auto o di un treno sono definibili in qualche modo, è meno definibile qual è il confine della lentezza rispetto a tutta una serie di altri comportamenti di scelta. Allora io ho provato a pensare che forse la lentezza è quella velocità che mi permette di camminare in modo da vedere dove sto mettendo i piedi e quindi che cosa sto rischiando di calpestare, per poter cambiare eventualmente il mio passo. Lentezza è quella velocità che mi permette di camminare senza perdere dei pezzi importanti di me, senza che dalle tasche mi scappino delle cose forti. Io credo che uno dei rischi grossi dell'eccesso della velocità, sia la perdita della memoria. "Ricordare il futuro" un altro dei nostri momenti forti, celebrava in qualche modo il fatto che non c'è futuro senza memoria. Allora rielogiare e scoprire la lentezza credo significhi anche portare un nuovo rispetto, portare un nuovo omaggio al nostro bisogno di memoria senza la quale non riusciremmo più a produrre un futuro significativo. Anche qui, fedele al mio retroterra di ragioniere, vi lascio con un pensiero altrui, di Federico García Lorca: "Chi cammina si intorbida,/ l'acqua corrente non vede le stelle,/ chi cammina dimentica/ e chi si ferma sogna". |