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Laboratorio n° 7
"Duemila non più mille"
Brunetto Salvarani
Premessa Non è stato davvero facile, per me, condurre il laboratorio di quest'anno: e non certo per le novità connesse allo spostamento di sede dall'ormai tradizionale Assisi/Santa Maria degli Angeli a Città di Castello, che anzi si è rivelata un luogo quanto mai ospitale, disponibile a mettersi in gioco oltre che assai piacevole da tanti altri punti di vista. La mia personalissima difficoltà era legata, piuttosto, all'impossibilità di dirigere il gruppo assieme a me, per cause di forza maggiore e praticamente all'ultimo momento, senza la possibilità di una sostituzione, da parte dell'amico Fabio Ballabio, col quale avevamo nei mesi precedenti progettato per filo e per segno (o quasi&) il percorso da compiere che ho dovuto, naturalmente, adattare ai miei ritmi, alle mie caratteristiche e soprattutto ai miei "limiti" (tanto per restare in tema con l'argomento principale del convegno!). Anche per questo, vorrei qui ringraziare di cuore i sedici fra "coraggiose" e "coraggiosi" coi quali ho felicemente condiviso i giorni di Città di Castello, per la loro disponibilità, la straordinaria capacità di ascolto, la voglia di confrontarsi e di dialogare in merito a tematiche tanto complesse quanto delicate, anche per il coinvolgimento personale ad esse inevitabilmente connesso.
Il Contesto Siamo ormai agli sgoccioli del Millennio, e il microcosmo delle religioni sembra assolutamente in fibrillazione: si tratta di istanze spesso contraddittorie e - come già accennavo - senz'altro decisamente complesse, come già nel laboratorio dello scorso anno avevamo cercato, insieme a Fabio, di evidenziare studiando, per quanto possibile, le caratteristiche della cosiddetta "Nebulosa New Age". Vanno aumentando a vista d'occhio, fra l'altro, le offerte di millenarismi, le ipotesi apocalittiche e le proposte di sacralità "a basso prezzo". La sensazione che ne deriva è di un vero e proprio "supermarket delle religioni", in cui la ricerca di paradisi artificiali o "virtuali", le comunicazioni con l'al di là in una direzione (dalle intercessioni per i defunti fino al moderno "chanelling") o nell'altra (il "Dio lo vuole" caro a molti fondamentalismi/integralismi), la predizione di eventi terribilisticamente catastrofici (con tanto di "date di scadenza") e di inevitabili "scontri di civiltà", risultano all'ordine del giorno: "Manca il futuro come tensione: per l'uomo di oggi, il futuro non è altro che una copia del presente, e, pertanto, non lo si vuole porre lontano" (Manlio Sgalambro). Che fare, dunque? Lasciarsi trasportare dal fiume in piena? Contrapporre pragmaticamente la concretezza della realtà alla pienezza della fantasia? Oppure cercare di interpretare il delicatissimo momento attuale col "discernimento critico" cui in troppi sembrano rinunciare a cuor leggero?
Secondo Abramo Levi "la rilevazione biblica presenta immediatamente, senza preamboli, prologhi, antefatti, un Dio che va in cerca di sobrietà, quasi che quella tale 'abbondantissima incommensurabilità' (appiccicatagli addosso da una lettura poco attenta della Scrittura) gli fosse venuta a noia". Allo stesso modo, l'intenzione che ha mosso il laboratorio è stata la proposta di un uso sobrio dell'al di qua, anche in funzione di un uso sobrio dell'al di là: affinché né l'uno né l'altro, possano, rivestiti di un'impropria 'abbondantissima incommensurabilità', togliersi reciprocamente spazio e vitalità. Ecco allora il senso del continuo ricorso ad un noto passo dalle "Lettere dal carcere nazista" di Dietrich Bonhoeffer: "Penso che dobbiamo amare tanto Dio nella nostra vita e in ciò che egli ci concede di bene, e che dobbiamo avere una tale fiducia in Lui che quando giunge il momento - ma solo allora - si possa andare a Lui con fiducia, amore e gioia. Ma, per dirla franca, che un uomo fra le braccia di sua moglie debba bramare l'al di là, è, a essere indulgenti, mancanza di gusto e comunque non la volontà di Dio".
La cronaca
Il lunedì pomeriggio (24/8), dopo una breve presentazione dell'argomento del laboratorio da parte mia, i vari partecipanti si sono a loro volta presentati a coppie, spiegando soprattutto il motivo di tale scelta. Successivamente ho tenuto una lezione frontale - indispensabile per situare il nostro itinerario - sullo stato di salute delle religioni oggi: che è senz'altro buono, almeno "sulla carta", perché le religioni e i religiosi come non mai "bucano" il video, trionfano sulle bancarelle dei best-seller, fanno comunque notizia sia nella versione "hard" (i fondamentalismi) sia in quella "light" (la New Age e dintorni). Infine, dopo un po' di discussione su questi temi, abbiamo concluso con un brainstorming sulla parola "futuro", per mettere ulteriore carne al fuoco; e abbiamo posto i nostri lavori sotto una frase tratta da una lettera di Sergio Quinzio a Erri De Luca, cui saremmo ritornati frequentemente anche perché recentemente ripresa da De Luca in occasione del barbaro assassinio dei tre bambini nordirlandesi colpevoli solo di essere figli di una coppia religiosamente "mista", che proclama: "Se possiamo sperare questo, è perché nella nostra vita fatta di perdite e destinata a essere perduta, ci è stato fatto intravedere un barlume di ciò che potrebbe essere".
Il giorno dopo (25/8) abbiamo preso le mosse da una mia introduzione sulla crisi delle speranze nella stagione attuale e sul contemporaneo, sorprendente "ritorno" dell'angelogia, dello spirituale e del millenarismo. Il paradosso è che, da un lato, negli ultimi decenni la stessa morte, i "fini ultimi", l'al di là, il cielo, il Purgatorio sono pressoché scomparsi dal discorso degli uomini di chiesa; mentre, dall'altro, anche nel mondo occidentale tanti credono ancora nell'al di là (per quel che valgono, lo confermano diversi sondaggi) e non è difficile constatare una rinnovata riflessione, a vari livelli, sulle questioni dell'escatologia: basterebbe ricordare, ad esempio, il successo di chiese quali quella mormone, avventista del Settimo Giorno o i Testimoni di Geova, dotate di una forte impronta apocalittico-escatologica.
In seguito, abbiamo verificato come le religioni del Libro (ebraismo, cristianesimo, islam) si sono storicamente rapportate all'aldilà e ai "codici dell'altrove", giungendo a constatare come nella maggior parte dei casi esse hanno adottato una strategia di misura e di sobrietà, senza lasciarsi andare - se non in tempi di crisi e di decadenza - a fantasie religiose incontrollate. Per cogliere qualche segnale della suddetta 'diaspora dello spirituale' e dell'invisibile nella cultura odierna, abbiamo visto il film Alice di Woody Allen, in cui l'omonima protagonista - una straordinaria Mia Farrow - è insoddisfatta della sua vita piena di frivolezze e di mondanità, per cui comincia a parlare coi morti, si mette a volare e si fida ciecamente nel ricorso alle pozioni magiche, fino a ritrovare un positivo rapporto con l'al di qua dopo un contatto col "servizio nel quotidiano" di Madre Teresa di Calcutta.
La giornata seguente (26/8), dopo una buona discussione collettiva sul significato del film di Allen, l'amico Raffaele Mantegazza, competente in tante materie, ci ha intrattenuto sul rapporto fra il già citato teologo luterano Dietrich Bonhoeffer, martire della Resistenza antinazista, e le "realtà ultime": un rapporto sobrio, misurato, attento. A parere di Bonhoeffer, la fede nella resurrezione può risultare vera solo se preceduta dalla fede nella croce, vale a dire nell'assunzione di una responsabilità totale nei confronti dell'umanità e nella solidarietà assoluta con la creazione che "geme nell'attesa" (cfr. Rom. 8,19).
Da parte mia, nel pomeriggio, ho suggerito di assumere quale paradigma del bisogno giovanile di ottenere delle risposte su temi "limite" come la morte, l'al di là e l'inferno, il paradiso, una figura "cult" del fumetto italiano di oggi: il Dylan Dog di Tiziano Sclavi. Le storie dell'indagatore dell'incubo, infatti, ridanno centralità tematica ad una dimensione fondamentale dell'essere-nel-mondo, dell'uomo, la morte appunto, con l'intenzione di riappropriarsi di un simile oggetto etimologicamente "pornografico": zombies, varchi, inferni, "altroquando", vampiri, licantropi e parecchio altro materiale "sul confine" ne è costantemente protagonista (e qui, per lo spazio "Pubblicità progresso", mi permetto di rimandare al mio recente "Disturbo se fumetto?", scritto a quattro mani proprio con Raffaele, edizioni Unicopli, Milano 1998).
Abbiamo altresì recuperato tre parole chiave per la storia recente del CEM, particolarmente utili anche in questo caso: sostare-perdersi-narrare. In conclusione, ecco il primo termine di un ulteriore itinerario tripartito, decisivo per rendere più autentico ed efficace il nostro rapporto con l'"eschatos": Silenzio. Vi riflettiamo grazie ad un video sul villaggio di Nevé-Shalom Waahat as-Salaam, il "villaggio della pace" ideato da padre Bruno Hussar a metà strada tra Tel Aviv e Gerusalemme, nel cui cuore campeggia la cupola bianca di Dumia ("silenzio profondo" in ebraico, appunto nel Salmo 65) come segno della necessità di purificazione per qualsiasi ipotesi di dialogo ecumenico ed interreligioso, troppo spesso "borghese" e "rassicurante".
Ultimo giorno (27/8); inframmezzate da un bell'intervento di Lucio Bosi, il mago delle percussioni, sul rapporto fra la musica africana e il sacro, ecco le due parole mancanti, curiosamente inizianti con la stessa consonante S di Silenzio: Sobrietà, da un lato, e poi Speranza, con cui si conclude (per modo di dire&) il nostro percorso: "Speranza dice due verbi tipicamente biblici: camminare, prima di tutto, con la ricchezza di tutte le metafore legate alla strada (uscire, procedere, passare; il deserto, la pasqua&); e aprire, con un'altra ricchezza di metafore e simboli (la porta, la tenda, la soglia, l'orizzonte, il futuro&). La speranza è, dunque, cammino aperto: a chi? La risposta può variare secondo i casi e le circostanze. Gli altri, prima di tutto; il futuro; sullo sfondo l'Altro, anche se la teologia negativa non ne fornisce né l'indirizzo né la fotografia. Non è tanto l'oggetto a contare, quanto l'apertura. (&) La fede-speranza ebraica e cristiana è dunque non soltanto oscura e povera, ma anche aperta, ariosa. Ha gli occhi del bambino: conosce, anche in vecchiaia, la meraviglia. Di fronte a un filo d'erba che cresce in primavera come di fronte alla risurrezione. La meraviglia proprio come maniera di vivere contrapposta alla chiusura, all'arresto, all'egoismo. La meraviglia come sinonimo, o quasi, di fede-speranza-amore. Alla concezione - fondamentalmente cristiana - della fede come speranza si può utilmente aggiungere quella, fondamentalmente giudaica, della fede come interrogazione. Essere aperti - all'altro, al futuro, - significa porre continuamente punti interrogativi, tutt'altro che retorici. (&) Fede-speranza significa considerare ogni arrivo come una nuova partenza-uscita-esodo". (F. Gentiloni, in: F. Gentiloni, R. Rossanda, La vita breve. Morte, resurrezione, immortalità, Pratiche, Parma 1996, pp.90s).
Allegati
N. 1 "Piccolo testamento" Questo che a notte balugina
nella calotta del mio pensiero,
traccia madreperlacea di lumaca
o smeriglio di vetro calpestato,
non è lume di chiesa o d'officina
che alimenti
chierico rosso, o nero.
Solo quest'iride posso
lasciarti a testimonianza
d'una fede che fu combattuta,
d'una speranza che bruciò più lenta
di un duro ceppo nel focolare.
Conservare la cipria nello specchietto
quando spenta ogni lampada
la sardana si farà infernale
e un ombroso Lucifero scenderà su una prora
del Tamigi, del Hudson, della Senna
scuotendo l'ali di bitume semi-
mozze dalla fatica, a dirti: è l'ora.
Non è un'eredità, un portafortuna
che può reggere all'urto dei monsoni
sul fil di ragno della memoria,
ma una storia non dura che nella cenere
e persistenza è solo l'estinzione.
Giusto era il segno: chi l'ha ravvisato
non può fallire nel ritrovarti.
Ognuno riconosce i suoi: l'orgoglio
non era fuga, l'umiltà non era
vile, il tenue bagliore strofinato
laggiù non era quello di un fiammifero.
Eugenio Montale (da "La bufera e altro", 1956)
N.2 "Verso il cielo e l'eterno" "L'abbassarsi dell'orizzonte delle attese in campo storico, la delegittimazione delle rinunce necessarie ad un allargamento della solidarietà orizzontale con i propri contemporanei e di quella verticale con le generazioni future, pare attualmente compensato dal rinnovato innalzarsi dello sguardo di immense masse (e non solo nel mondo islamico) verso il cielo e l'eterno, verso una realtà più vera e totalmente altra rispetto a quella vissuta".
(Remo Bodei, da "Il libro della memoria e della speranza")
N. 3 "Un uomo semplicemente" "Negli ultimi anni ho imparato a conoscere sempre più la profondità dell'essere-aldiqua del cristiano; il cristiano non è un 'homo religious', ma un uomo semplicemente, così come Gesù - a differenza certo di Giovanni Battista - era uomo. Intendo non il piatto e banale essere-aldiqua degli illuminati, certo degli indaffarati, degli indolenti, o dei lascivi, ma il profondo essere-aldiqua che è pieno di disciplina e nel quale è sempre presente la conoscenza della morte e della resurrezione".
(Dietrich Bonhoeffer, da "Resistenza e resa", Lettera del 21/7/1944)
N.4 "La vita e la terra "Solo quando si riconosce l'impronunciabilità del nome di Dio si può anche pronunciare finalmente il nome di Gesù Cristo; solo quando si ama a tal punto la vita e la terra, che sembra che con esse tutto sia perduto e finito, si può credere alla resurrezione dei morti e ad un mondo nuovo".
(Dietrich Bonhoeffer, da "Resistenza e resa", Lettera del 5/12/1943)
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