Laboratorio n° 10 Relazioni, responsabilità, reti... Giorgio Ferroni L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che è già qui I. Calvino Le infinite rappresentazioni e mappe del mondo, prodotte dall'immaginario individuale e collettivo delle donne e degli uomini di oggi, manifestano, pur nella loro diversità, una comune sensazione di abitare un confine, di trovarsi - come e più ancora che in epoche precedenti - a un crocevia (per taluni alla fine) della storia, in una condizione dove la frantumazione delle differenti identità - personali, di gruppo e collettive - è l'inevitabile conseguenza della globalizzazione, senza che comunque sia contemporaneamente definito un nuovo quadro di riferimento. Si sono dissolti molti dei vecchi confini - geografici, fisici, tecnologici, temporali, ideologici, culturali - mentre se ne sono affacciati di nuovi - 'etnici', psicologici, sociali, spirituali - trasversali alle categorie tradizionali, spesso più sfumati e aleatori. Occorre allora ridefinire le proprie identità - personali e collettive - esplorando comportamenti e possibilità originali, navigando spesso a vista e costruendo ipotesi di percorso provvisorie tra estremi opposti: l'isolamento nel castello di appartenenze forti o la resa incondizionata all'omologazione dell'unico pensiero vincente; la difesa contro quella che viene avvertita come un'invasione - fisica, etnica, culturale, economica - in atto o il volontarismo abborracciato e acritico verso la dimensione strutturale dei problemi; il rifugio nell'estetismo di varia natura o la capitolazione all'orrore. L'esperienza laboratoriale - quando è realmente tale - è, per sua natura, un momento critico, una soglia verso un altrove, che può rimettere in discussione idealità, opinioni, atteggiamenti abituali. In tal senso, può risultare destrutturante per chi cerca, e provocare anche meccanismi di difesa. A maggior ragione quando il compito che ci si è dati è - nello stesso tempo - ambizioso nella finalità e vasto quanto a tematiche coinvolte. Ci aspettavamo, un po' tutti, un gruppo composto per la maggioranza da insegnanti, da educatori, da professionisti della didattica. E invece& la cornice ci ha preso alla sprovvista, e anche un po' spiazzati: la piccola costellazione dei 'mestieri' rappresentati andava dall'operatrice sociale allo studente universitario, dall'obiettore di coscienza in servizio civile all'impiegato, dal missionario all'architetta, dall'artista di strada alla logopedista, dalla consulente socio-pedagogica all'insegnante di religione. Per non parlare delle diversità generazionali o relative alle esperienze di vita. Le differenze professionali ed esistenziali hanno inquadrato e indirizzato lo sguardo, verso quel territorio da perlustrare e del quale provare a tracciare delle mappe, che era per noi un'idea e una prassi di resistenza. Se la differenza è sempre un'opportunità, il coglierla e lo sfruttarne tutte le potenzialità non poteva passare attraverso un'accettazione scontata (e quindi superficiale e ideologica); si è trattato, al contrario, di una sfida, di un percorso aperto, che comportava in sè un certo numero di valori, atteggiamenti esistenziali e scelte operative: ascolto, apertura, flessibilità, equilibrio, creatività, tolleranza, pensiero critico, silenzio, disponibilità, contestualizzazione, ricerca, valorizzazione delle dinamiche divergenti, senso della complessità, coscienza dell'interdipendenza, autoironia, scelta dei tempi della propria e altrui maturazione & E' stato allora indispensabile spostarsi, cambiare il luogo di osservazione, decentrarsi rispetto a sé e alla propria esperienza; ma anche avvicinarsi, aprirsi alla rischiosa possibilità della conoscenza reciproca, dell'emergere delle differenze e del loro riconoscimento, assumendole senza resistervi, per allargare (oltre che mutare) l'angolo di visuale. La diversità delle esperienze e delle condizioni di vita dei vari partecipanti al gruppo ha assunto il significato di confronto con la differenza, con lo 'straniero' che - se colto - si rivela una straordinaria opportunità per prendere coscienza dello straniero, del diverso che ciascuno porta in sé, riconoscendolo e assumendolo come parte integrante della propria personalità e della compagine sociale in generale (la stessa dinamica agisce e risulta formativamente significativa per ogni differenza riconosciuta all'interno del gruppo, fino alla presa di coscienza che ogni individuo è tale, ha valore ed è socialmente legittimato proprio in quanto essere originale, portatore di diversità, di unicità). Tutto ciò ha potuto essere indagato, elaborato e condiviso, ma anche rifiutato: la scelta metodologica dei conduttori è consistita non tanto nel chiudere delle risposte - soprattutto se ideologiche - quanto nel mettere in campo domande "legittime", quelle la/e cui risposta/e non è data a priori, ma è il risultato del comune lavoro di indagine. Anche a rischio di lasciare insoddisfatto chi sperava di portar via elementi contenutistici e strategie più definite. La ricerca ha avuto come sfondo metodologico la pedagogia contestuale latinoamericana del "vedere, giudicare, agire", che parte dal vissuto specifico per cogliere i nessi generali, secondo un percorso ritmato dalle provocazioni delle storie personali e della storia, dalla presa di coscienza dei fenomeni, dal lavoro analitico e critico intorno alla loro complessità e totale interrelazionalità, e da una progettualità operativa, solo a questo punto realmente fondata. Contestualizzare ha significato nei primi momenti raccogliere le varie rappresentazioni individuali del concetto di resistenza, sperimentando quanto di comune, quanto di simile e quanto di assolutamente diverso e inconciliabile c'era in ciascuna di esse; il lavoro di messa in comune, evidenziazione di affinità e differenze e, infine, di concertazione di mappe concettuali, è stato il primo incontro/scontro con la 'cornice' della diversità. Le mappe risultate hanno evidenziato il difficile lavoro di definizione da parte di ciascuno su ciò che in realtà intendeva e, in un secondo momento, quello della negoziazione di aree comuni da cui partire. La narrazione - supportata da diapositive - della vicenda storica del Salvador, uscito nel 1992 da dodici anni di guerra civile e tuttora dilaniato - come sempre dopo la fine formale di un conflitto - dalle conseguenze psicologiche e sociali, oltre che materiali e politiche, dell'esperienza bellica, ha fornito ulteriore materiale di riflessione, presentando uno dei tanti Sud del mondo quale paradigma di una condizione generalizzata - tra i paesi impoveriti - di sovranità limitata e di sudditanza alle dinamiche culturali, economiche e politiche della minoranza garantita del pianeta. Narrare ha assunto il significato di prestare la propria voce a coloro la cui parola viene soffocata dal frastuono dei grandi media, e dall'occultamento operato dai filtri delle agenzie di stampa internazionali; partire dalle storie della gente prima e più che dalle cifre di una sociologia della catastrofe. Narrare è cogliere, ad esempio, la pregnanza, il senso profondo della memoria storica della guerra che affiora dalle parole di una bimba nata quando questa era ormai finita: "La guerra ha ucciso il mio papà, la mia mamma e il mio albero". Raccolto questo primo materiale si è lavorato su quanto emerso, utilizzando quale ulteriore terreno di indagine, e come metafora della realtà più generale, le dinamiche che nel frattempo sono emerse nel gruppo. La scelta metodologica è stata quella di sperimentare la resistenza - in ogni accezione possibile del termine - all'interno e attraverso il gruppo stesso, utilizzando il materiale emergente dai vari vissuti individuali ed elaborando le dinamiche relazionali conseguenti. Non per tutti i partecipanti al gruppo questo è risultato immediatamente chiaro o, comunque, automaticamente accettato. All'inizio le aspettative raccolte erano (prevedibilmente) sbilanciate verso l'aspetto dei contenuti, delle idee - sia pur non nella forma delle lezioni frontali - da confrontare ed elaborare, mentre l'aspetto metodologico e quello relazionale soprattutto, il più importante in assoluto, erano avvertiti come non prioritari. Tra le varie accezioni del concetto di resistenza su cui si è proposto di lavorare, si è analizzata anche quella 'prepolitica' di resistenza del singolo all'apertura, al mettersi in gioco, al sentire l'altro come opportunità, al rischiare una progettualità. Un laboratorio fisico molto semplice come un dialogo delle mani ha permesso di sperimentare e analizzare - coinvolgendo l'affettività e le dimensioni più profonde dell'individuo - quali e quante possano essere le resistenze di ognuno nei confronti di un incontro autentico con l'altro, anche in soggetti nella cui professione la componente relazionale e sociale risulta prioritaria e di forte rilevanza. E' risultata piuttosto interessante l'estrema diversificazione delle risposte dei vari partecipanti: si è andati dalla relativa significatività per alcuni, a reazioni di difesa da parte di altri, all'intenso coinvolgimento emotivo per altri ancora. Una prima ovvia conseguenza è che di tale forte differenziazione occorre tener conto, qualora si organizzino specifiche forme di resistenza popolare o, a maggior ragione, azioni di valenza strategica. Nel tempo del laboratorio - e in particolare dall'indagine che ha coinvolto (direttamente o meno) le dinamiche di gruppo - è emerso poco a poco, giorno per giorno, come molti degli elementi fondanti una prassi di valorizzazione della diversità siano gli stessi alla base di una teoria e di un'azione di resistenza all'omologazione all'unica cultura dominante a livello planetario e, soprattutto, verso l'elaborazione di possibilità di pensiero, azione e relazione realmente alternativi, in quanto indagati e sperimentati autonomamente e originalmente dall'individuo e dal gruppo. In tal senso la cornice inquadra e nello stesso tempo entra a far parte, costituisce il paesaggio. Momento importante dell'itinerario comune sono state le narrazioni, da parte di ognuno, di storie di resistenza, vissute in prima persona, o da donne e uomini incontrati nel proprio percorso esistenziale: tutte le storie hanno presentato notevoli elementi d'interesse, spaziando da un ambito più personale e privato, a vicende maggiormente orientate verso un'esperienza di lotta e di coinvolgimento politico. Tanto materiale ci ha lasciato il rimpianto - a causa del breve tempo disponibile - di non poter essere decostruito, analizzato ed elaborato come avrebbe meritato. Delle tante, una storia - apparentemente privata - ci è sembrata particolarmente ricca di spunti ed elementi di richiamo alle varie cause di marginalizzazione e ad alcune possibili strategie esistenziali di resistenza .È una storia aperta, il cui finale resta tutto da scrivere. Mariella, che ce l'ha raccontata, l'ha narrata in prima persona:
Anche l'ultima parte laboratorio ha scontato il limite di una prospettiva eccessivamente ambiziosa nella pianificazione dell'intero percorso laboratoriale, rispetto al tempo effettivamente disponibile. Abbiamo applicato la metodologia dell'analisi del campo di forze al recente caso del conflitto scoppiato in una fabbrica di un noto gruppo tessile italiano, in seguito alla minaccia della proprietà di spostare parte della produzione di abbigliamento in paesi del Sud del mondo; tale intimidazione costituiva la risposta alle rivendicazioni degli operai della fabbrica stessa in merito ai loro diritti di lavoratori. Di tutti, questo è stato il laboratorio dove l'indagine è risultata più analitica e approfondita, lasciando in sospeso - per i suddetti limiti di tempo - una serie di aspetti molto interessanti, ai fini dell'elaborazione di interventi di valenza strategica (per esempio, Campagne a largo raggio o alleanze tra lavoratori del Sud e del Nord del mondo). Nel complesso i giorni vissuti insieme hanno significato solo un primo approccio al tema della resistenza. Coltivavamo un po' tutti la segreta speranza di ritornare a casa con qualche idea più definita o qualche tecnica e strategia abbastanza chiara& Niente di tutto questo è accaduto: in generale usciamo da questa esperienza con più dubbi e domande di quelli con cui siamo arrivati. Chissà& forse è proprio il meglio che ci potesse accadere& La Via del Cielo
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