DA DOVE COMINCIA LAZIONE
DI RESISTENZA?

a cura della Redazione M.O.

 

Come nel numero precedente (pagg. 29-32) presentiamo alcune riflessioni del gruppo redazionale in preparazione al Convegno del 2 ottobre.

Occorre imparare a valutare le nostre azioni e le nostre scelte, a tutti i livelli, non solo alla luce delle intenzioni, ma anche a quella delle conseguenze che ne possono derivare.

Se è vero che le chiese vogliono annunciare la vittoria del loro Signore sugli idoli, sono chiamate ad essere, con la loro vita, coscienza critica, resistenza, creatrici di futuro.


Sconfiggere il nemico e guardarsi dentro

Il nemico si nasconde
si mimetizza tra le pieghe della coscienza
la sua violenza è subdola
il suo passo di gatto
difficile davvero coglierlo sul fatto
il nemico è tra noi è dentro di noi
per farlo fuori occorre rinunciare
ad una parte di noi stessi&

Non si vede ma lui è ancora qui
più forte che mai
e sotto sotto spinge col suo dai e dai
e ha stipulato un patto
con le coscienze addormentate
nella pubblicità di una realtà falsificata&

Sconfiggere il nemico è guardarsi dentro
cercare il proprio centro
e dargli vita come a un fuoco quasi spento&

conservare il controllo di ciò che vediamo
conservare il controllo di ciò che sentiamo
verificare se sotto laspetto invitante di unesca
non sia nascosto un amo&

Sono parole tratte da Occhio non vede, cuore non duole di Lorenzo Cherubini, in arte Jovanotti. Esprimono bene lidea che, di fronte alla globalizzazione che avanza, lazione di resistenza comincia dalla consapevolezza della nostra stessa ambiguità, del nostro essere insieme attori e spettatori di un fenomeno che trae origine e forza dal "primo" mondo, il nostro mondo. Rompere con esso significa diventare inquieti, sentirsi a disagio come se esso non ci appartenesse e noi non appartenessimo a lui. E significa guardarsi intorno, alla ricerca di altri che non abbiano rinunciato a sognare ad occhi aperti un mondo diverso, in cui affermare che "il tempo è denaro" suoni come cosa remota quanto lingenua fisica degli antichi.
Ma non bisogna che lirrequietezza si trasformi in depressione e senso di impotenza per la mancanza di unalternativa positiva a ciò da cui si vuol prendere le distanze. Bisogna elaborare il lutto della "mancanza di soluzione scientifica" alla pervasività delleconomia capitalista globalizzata e demitizzare le pretese razionaliste di riduzione della complessità del reale alla semplicità degli schemi ideali. Del resto, proprio perché si vuole sommamente razionale, leconomia si infiltra con la propria logica in ogni dimensione del vivere, mentre di ogni cosa, anche la più sacra, fa mercato.
La storia insegna che i mutamenti di civiltà sono preceduti da lunghi periodi in cui il cambiamento percorre rivoli sotterranei della cultura e della società, per poi riaffiorare in superficie, come fiume, in un luogo e un tempo inaspettati. Bisogna coltivare questa pazienza, unendovi la tenacia necessaria per tessere la tela dellalternativa annodando i fili che sono sparsi qua e là: la finanza etica, la cooperazione sociale, il commercio equo, il consumo critico& e poi lecologismo, la sinistra sociale, il cristianesimo profetico&
Tutto questo, però, non avrebbe spessore se non fossimo spinti fuori da noi stessi dalla com-passione per le sofferenze degli impoveriti del mondo, di quelli che, con tragica metafora biblica, sono stati gettati fuori dal cerchio luminoso degli "have" nella notte degli "have not", dovè pianto e stridore di denti. Senza quella stretta che ti prende allo stomaco in un misto di orrore, rabbia, tenerezza ed amore e fa risuonare nellintimo linvocazione Mio Dio! non cè azione da samaritano, non cè chinarsi sullumanità sofferente e domandarsi donde venga la sofferenza e tentare di alleviarla e di porre fine alle sue cause.
Il peggio che ci può toccare è tirare diritto con indifferenza, destinati, o rassegnati, a porre in vendita, in omaggio ai dettami del mercato, anche la nostra anima.

Fausto Piazza

 

Resistenza: un'etica della responsabilità

Resistere. A chi, come, perché? Sono interrogativi che mi interpellano in continuazione. Il desiderio di oppormi al sistema dominante, che vuole programmare tutti i miei passi, è sempre più forte. Sono alla ricerca delle alternative, ma prima di proporre nuove strade da percorrere, è opportuno metterci allascolto dei segni dei tempi, delle alternative che le vittime del sistema stanno già tracciando: il punto di vista degli oppressi è sempre un osservatorio privilegiato.
Inoltre, penso sia facile proporre agli altri quello che dovrebbero fare, come dovrebbero comportarsi, preoccuparci della salute ambientale, schierarci, decidere quali prodotti consumare, come e quando lavorare& Ma quando scendiamo nel nostro intimo, scopriamo che ciascuno di noi ha i suoi scheletri nellarmadio, che preferisce tener ben nascosti. Predicare bene e razzolare male non è mai stato molto positivo. Non varrebbe allora la pena iniziare ad interrogarci "cosa posso fare io perché le cose vadano meglio?". Talvolta pensiamo sia troppo difficile, non ce la facciamo più, vorremmo vedere i risultati del nostro agire& Scoraggiarsi è umano, è comprensibile, soprattutto quando si è stati troppe volte bastonati; ma ritrovare poi la forza per interrogarsi sulla ragione dei fallimenti e rilanciare, è segno di maturità.
Ancora. Una delle condizioni per poter resistere in modo efficace è di conoscere come operano i meccanismi ai quali ci si vuole opporre, per riuscire a trasformare una resistenza passiva in attiva, individuando le crepe del sistema. Può sembrare una banalità, ma è importante essere convinti di quello che si fa, piuttosto che farsi trascinare dalle emozioni, con il rischio di cambiare in continuazione bandiera, a seconda dei "profeti" che si incontrano per strada. Ciascuno poi vuole coltivare il proprio orticello e non è disposto a mettere in discussione le proprie scelte: quante azioni avrebbero potuto essere più efficaci, se ci fosse stata maggiore competenza e se ciascuno (singolo, gruppo, partito, chiesa&) avesse lavorato per aggregare e non per dividere, secondo la logica "le mie idee sono le sole valide". Come la nonviolenza non è automatica e richiede impegno per essere applicata nelle varie situazioni, anche per "la resistenza" cè una prassi da acquisire.
"Lonnipotenza della tecnica ha determinato limpotenza delletica", dice il filosofo Severino. Il fare tecnico è trasformare ogni "possibile" in realtà, tutti i possibili devono essere realizzati. Nellagire etico, invece, si dice che "non si devono" realizzare certi possibili. Intenzione e responsabilità, diceva Max Weber. Lagire non deve essere valutato solo alla luce delle "intenzioni", ma anche a quella delle "conseguenze".
Lassolutizzazione delle intenzioni ha portato a tutte le catastrofi del 900 ed oggi cè bisogno di unetica della responsabilità. Dobbiamo chiederci: quale sarà il peggior uso possibile del mio agire? Questo ci mette in una condizione di responsabilità totale verso tutti e verso tutto, come se nel nostro agire identificassimo sempre due effetti, una luce ed unombra. Le nostre azioni dovrebbero essere tali da non compromettere il futuro, né quello ambientale né la sopravvivenza delle generazioni che ci succederanno.

Gabriele Smussi

 

La globalizzazione e le chiese

La globalizzazione è un processo storico non solo economico e sociale: ha una ricaduta anche nelle culture, nelle religioni, nel cristianesimo e nelle sue forme storiche che sono le chiese.
Anzitutto la civiltà planetaria costringe le chiese, in particolare la chiesa cattolica ad una nuova autocomprensione. Già il Concilio aveva spinto la chiesa a riflettere sulla sua duplice caratteristica di chiesa universale e di chiese locali. Da una parte, infatti, si afferma: "Tutti gli uomini sono chiamati a formare il nuovo Popolo di Dio, perciò questo Popolo si estende a tutto il mondo e a tutti i secoli" (LG 13). Dallaltra, nello stesso paragrafo, si dice: "Nella comunione ecclesiale vi sono legittimate le chiese particolari con le proprie tradizioni".
Nel tempo della globalizzazione questa dialettica è più cogente e si coniuga, come per le altre istituzioni, con le categorie laiche del globale e del locale.
In secondo luogo, questo processo mette la chiesa in una dimensione nuova rispetto alle altre forme religiose, superando la presunzione di essere lunico depositario della Verità, superando lintolleranza, aprendosi alla scoperta dei frammenti di Parola che appartengono ad altri, entrando con loro in dialogo. È laffermazione dellecumenismo allinterno del mondo cristiano, del dialogo interreligioso con le altre fedi.
In terzo luogo, poiché la chiesa è fermento e lievito, anima del mondo (Lettera a Diogneto), è chiamata a conservare la memoria sovversiva della morte del Signore, annunciando la sua vittoria sugli idoli.
Diventa per questo coscienza critica, resistenza. Critica allomologazione, resistenza alla cancellazione della storia degli uomini e delle donne, soprattutto dei poveri, impegno alla salvaguardia del creato, creatrice di futuro.
La riscoperta dellApocalisse, lultimo libro della Bibbia, accompagna la chiesa in questo scorcio di fine millennio, ricostruendo lutopia che gli idoli del Moloch della globalizzazione rischiano di soffocare.

Piero Lanzi

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