Carità Cristiana e
Karuna Buddista
di Enzo Bianchi
Ultima parte dellintervento di E. Bianchi su "Carità e Karuna". La rubrica continuerà con interventi sul "dialogo tra buddismo e cristianesimo in Asia" di Franco Sottocornola, missionario in Giappone.
Luomo è immagine di Dio e come tale ogni uomo va rispettato e capito, in ognuno va ascoltata la voce di Dio che contiene.
Nel buddismo limperativo dellamore-compassione è più esteso di quanto noi cristiani abbiamo capito: non si tratta di amare solo gli altri uomini, ma di allargare questo amore fino ad abbracciare tutte le creature.
Il buddismo insiste sulla "retta intenzione" della carità: non bastano gli atti, è necessario vigilare sulla purezza di intenti. Unottica che sarebbe un eccellente correttivo per lattuale pastorale delle nostre chiese.
Ci possiamo chiedere se cè nei Vangeli una parola esplicita di Gesù che esprima chiaramente cosa sia lamore e lo traduca in un comando etico. È la cosiddetta regola doro proclamata in Lc 6,31 e ancora più solennemente nel passo parallelo di Matteo: "Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti" (Mt 7,12). Un detto di Gesù purtroppo sovente trascurato nella predicazione cristiana, eppure è posto sia da Luca che da Matteo come "sigillo" del discorso delle Beatitudini, quasi a fornire a quella sorta di caratterizzazione dei chiamati al Regno i poveri, i puri di cuore, gli assetati di giustizia, i perseguitati& lo specifico del loro essere cristiani, cioè discepoli di Cristo.
Lincarnazione dell'amore
Anche la tradizione rabbinica precedente a Gesù aveva cercato di evincere dallinsieme della Legge e dei Profeti cioè dalla Scrittura una norma aurea che la riassumesse, ed era arrivata a una formulazione apparentemente molto simile: "Non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te". Gesù non solo va oltre, ma rovescia questo comando negativo astieniti dal fare il male per immettere energie divine positive. Amare significa cioè avere un atteggiamento positivo verso laltro, verso tutti gli altri.
Qui troviamo la seconda novità dellinsegnamento di Gesù: luniversalizzazione dei destinatari dellamore. Gesù non limita questa norma positiva dellamore concreto al "prossimo", cioè a chi è vicino per dimora o per simpatia o per fede, non la limita cioè al connazionale, al correligionario, ma la estende a tutti gli uomini, a qualunque razza o etnia o confessione di fede appartengano.
Inoltre, questa regola esorta a prendere liniziativa. Non basta rispondere a un determinato bisogno quando emerge; non è più il bisogno dellaltro lorigine e il metro della carità del discepolo di Cristo: è il cuore stesso della persona, un cuore docile alla Parola di Dio ascoltata, un cuore plasmato dallamore smisurato di Dio che deve essere la norma del mio agire per laltro. Non cè più nessuna possibilità di limitarsi allastensione dal commettere il male; un cristiano non può accontentarsi di non intromettersi nelle faccende dellaltro, con la scusa di "lasciarlo libero". Gesù dà un altro tipo di riferimento: non quello che io ritengo il bisogno dellaltro, bensì il mio cuore.
Questo significa anche che limpegno allamore per gli altri è illimitato. Se il punto di partenza infatti è il fare agli altri ciò che desidero che sia fatto a me, significa che più avanzo negli anni e più divento sensibile, arrivo a capire sempre meglio limpatto e linfluenza reciproca degli altri nella mia vita, divento sempre più esperto di umanità, di bisogni non solo materiali, di attese che solo lamore può colmare.
Lamore del nemico
Si arriva allora allapice del messaggio di Gesù sullamore: "Avete inteso che fu detto: amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori" (Mt 5,43-44). Messaggio scandaloso ancora oggi, messaggio che noi cristiani cerchiamo di rimuovere, di relegare tra le utopie irrealizzabili e che invece ci è rivolto dalla Parola di Dio con una forza e unattualità irresistibili. Siamo prontissimi quando lo siamo a pregare per i poveri, per gli emarginati, per gli ammalati, per i nostri cari o i nostri amici; per tutti loro molti cristiani sono pronti non solo a pregare ma anche a fare gesti concreti di amore. Ma di fronte al nemico, al carnefice, al persecutore, la nostra preghiera inaridisce e il nostro amore si arresta.
Lamore per il nemico richiesto da Gesù resterà sempre qualcosa "al di là" della nostra concezione dellamore, ci apparirà sempre come utopia irrealizzabile: al massimo ci sentiremo in grado di perdonare il nemico, ma mai di cancellare il ricordo del male da lui arrecatoci, mai di amarlo nonostante il suo permanere "nemico". Come cristiani allora cerchiamo almeno di tener viva questa parola di Gesù, di non rassegnarci di fronte a questutopia incarnatasi in Gesù di Nazaret, di non stancarci di misurare su di essa la nostra distanza dal comandamento divino.
Il Dalai Lama ha scritto un testo molto profondo sulla valenza spirituale dellamore per i nemici, un testo che può solo arricchire la comprensione cristiana del comandamento nuovo: "I nostri nemici sono i nostri più grandi maestri. È quando veniamo combattuti e criticati che possiamo accedere alla conoscenza di noi stessi e possiamo giudicare della qualità del nostro amore. I nemici ci permettono di verificare il nostro rispetto e la nostra tolleranza degli altri. Quando i nostri amici sono con noi in buoni e pacifici rapporti, nulla ci può rendere coscienti dei nostri pensieri negativi. Ma se io ho aiutato qualcuno, lho amato e poi questi mi oltraggia nel modo più ignobile, io posso considerare costui come il mio maestro più grande".
Un Comandamento Nuovo
Ma questo comandamento dellamore non era già presente nellA.T.? Perché allora viene definito nuovo da Gesù? Vorrei sottolineare laspetto fondamentale di questa novità introdotta da Gesù. Già lA.T. prescriveva: "Amerai il prossimo tuo come te stesso" (Lv 19,18), ma il Signore va oltre, con lesortazione: "Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati" (Gv 15,12) di cui ci dà lesempio arrivando ad amarci fino a dare la propria vita. Gesù ci ha amati più di se stesso: ha amato noi uomini più del suo io, deponendo la sua vita affinché noi lavessimo in abbondanza. E nella morte di croce, in quella morte vergognosa Gesù mostra la sua gloria. Gesù è re di gloria non quando la folla lo cerca per farlo re secondo le attese mondane, ma quando sulla croce dà la vita per gli uomini e li attira tutti a sé (cf Gv 12,32; 19,19 ss.).
Nella nostra vita quotidiana di discepoli del Signore è già molto quando arriviamo ad amare gli altri come noi stessi, eppure Cristo ci chiama come nel caso dellamore per il nemico ad andare oltre, fino ad amarli come lui ci ha amati, fino a dare la vita per gli altri. Questa realtà "impossibile agli uomini" è resa possibile da Dio, dalle energie che si sprigionano dal Risorto: poiché Dio ci ha amato per primo quando eravamo ancora peccatori, anche noi possiamo, grazie a lui, amare i nostri nemici, perdonare chi ci fa del male, benedire chi ci maledice. Lorigine e il fondamento del nostro povero amore umano è lamore di Dio per noi.
Da questo rapidissimo percorso nei sentieri della carità cristiana ho cercato di fare emergere non tanto cosa è lamore cristiano, ma piuttosto chi è lamore. Sì, per noi cristiani lamore è una persona ed è perciò una realtà talmente viva e grande che non finiremo mai di scoprire in tutta la sua ampiezza: se anche fossimo arrivati a capire tutto quanto la Scrittura ci narra dellamore di Dio, ci resterebbe pur sempre di "capirlo" nella concretezza della nostra vita di ogni giorno.
In questa faticosa ricerca dellincarnazione dellamore ci può essere di aiuto anche chi non condivide la nostra fede, chi per altre vie come quella buddista ricerca e scopre lamore per laltro. Un detto apocrifo di Gesù, non entrato nel canone del N.T. ma tramandatoci dai padri della chiesa, afferma: "Hai visto il fratello, hai visto Dio". Il primo sacramento di Dio nel mondo è il fratello, luomo. Il divieto stesso di farsi immagini di Dio riposa sulla verità che solo luomo è immagine di Dio e come tale ogni uomo va rispettato e capito, in ognuno va ascoltata la voce di Dio che contiene, quel logos spermatikos, quel germe di Parola di Dio che è stato deposto in ogni uomo, prima ancora e al di là di qualsiasi appartenenza ecclesiale.
Uno sguardo di Agape
Nel buddismo limperativo allamore-compassione è più esteso di quanto noi cristiani abbiamo capito. Non si tratta di amare solo gli altri uomini, ma di allargare questo amore fino ad abbracciare tutte le creature: gli animali, gli alberi, le pietre. Indubbiamente una sana vigilanza contro lidolatria ha reso noi cristiani diffidenti verso simili espressioni, ma non abbiamo con questo reso acosmica la nostra fede? Non abbiamo finito per privilegiare unicamente la storia come luogo di incontro con Dio, dimenticando la creazione tutta? La nostra terra non è solo il teatro in cui avviene la storia dellumanità, ma ne è partecipe, attrice insieme a noi. Non si tratta di cadere nel panteismo, nel credere che tutto è Dio, ma di ricordare con forza che Dio è in tutto e tutto è in Dio (pan-in-teismo). Se allora Dio è in tutto, perché non avere amore per le creature, con quella compassione che il buddismo ci testimonia nellesperienza della transitorietà, della provvisorietà, della fragilità di ogni essere?
Cè un dialogo di compassione che va esperito con tutti, ed è un dialogo che alcuni santi monaci hanno saputo testimoniare anche allinterno della tradizione cristiana. Isacco il Siro, un monaco del VII secolo, pregava e ardeva di amore per le creature animate e inanimate, per le bestie feroci, per quelle selvatiche e quelle domestiche; Serafino di Sarov, un monaco russo vissuto a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo, trascorse alcuni anni da eremita in un bosco familiarizzando con un orso e riducendosi allimmobilità della pietra sulla quale stava in orazione continua; Francesco visse in una tale comunione cosmica da riuscire non solo a dialogare con gli uccelli e con i lupi, ma a dar voce alla creazione intera nellindimenticabile cantico di frate sole.
Il buddismo insiste sulla retta intenzione della carità: non bastano gli atti di carità, è necessario vigilare sulla purezza di intenti. Si tratta di una carità più ascetica, che lotta quotidianamente per purificarsi da tutto ciò che non è conforme alla retta intenzione. Questottica sarebbe un eccellente correttivo da applicare allattuale pastorale ecclesiale, incentrata sull"efficacia" della carità: questo eviterebbe che lorganizzazione della carità finisca per prendere il sopravvento sul fondamento stesso della carità che è Cristo, ci metterebbe in guardia dalla nostra smania di protagonismo, di ricerca degli altri per soddisfare la nostra vanità, dal nostro sentirci sempre "soggetti" e mai oggetti della carità divina.
Due testi, nella loro essenzialità ci insegnano meglio di qualunque commento ad avere uno sguardo di agape sul mondo. Il primo appartiene alla tradizione buddista, si trova nel Diviavadana 35: "Il maestro chiede: Purna, tu hai accanto gente violenta; guarda: non cessano di insultarti, di perseguitarti. Se ti ingiuriano e ti maltrattano, cosa penserai?. E Purna risponde: Penserò che sono buoni e amabili perché non mi tirano pietre. Riprende il maestro: Purna, e se costoro arrivano a colpirti con pietre e sassi e ti prendono a bastonate, cosa penserai? Risponde: Penserò che sono buoni e amabili perché non mi colpiscono con un coltello. Ma se ti colpiscono con un coltello, fino a toglierti la vita? Penserò che sono buoni e amabili perché mi liberano dalla pesantezza del corpo".
Il secondo testo ci è più familiare, ma non è meno sconvolgente: "Ecco io torno da Perugia e, a notte profonda, giungo qui, ed è un inverno fangoso e così rigido che, allestremità della tonaca, si formano dei ghiacciuoli dacqua congelata, che mi percuotono continuamente le gambe fino a far uscire il sangue da siffatte ferite. E io tutto nel fango, nel freddo e nel ghiaccio, giungo alla porta e, dopo avere a lungo picchiato e chiamato, viene un frate e chiede: Chi è?. Io rispondo: Frate Francesco. E quegli dice: Vattene, non è ora decente, questa, di andare in giro, non entrerai. E poiché io insisto ancora, laltro risponde: Vattene, tu sei un semplice ed un idiota, qui non ci puoi venire ormai; noi siamo tanti e tali che non abbiamo bisogno di te. E io sempre resto davanti alla porta e dico: Per amor di Dio, accoglietemi per questa notte. E quegli risponde: Non lo farò. Vattene al luogo dei Crociferi e chiedi là. Ebbene, se io avrò pazienza e non mi sarò conturbato, io ti dico che qui è la vera letizia e qui è la vera virtù e la salvezza dellanima" (Francesco dAssisi, Della vera e perfetta letizia).
Ci bastino questi due testi per dire la speranza di carità che cè nelluomo.
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