DIALOGO CRISTIANI-BUDDISTI:
CARITÀ E KARUNA
ENZO BIANCHI
Invece dellannunciato Dossier su questo tema, abbiamo preferito presentarlo in alcuni successivi interventi, prolungando la precedente serie di articoli di E. Bianchi nella stessa rubrica.
Negli articoli che seguiranno coglieremo la vicinanza e nello stesso tempo lalterità esistente tra due elementi fondamentali delle due religioni: la Carità infraumana cristiana e la Karuna buddista ("compassione", nel suo significato più profondo di com-patire, soffrire-con).
Abbozzare un autentico dialogo interreligioso come in questo caso tra cristiani e buddisti su un tema specifico, quello della carità, dellamore, non è semplice. Si tratta del resto di unoperazione per molti aspetti nuova, impossibile fino ad alcuni decenni or sono: vale la pena di ricordare che la parola stessa "dialogo" non appare in nessun documento ufficiale della chiesa né nel linguaggio corrente in ambito teologico prima del pontificato di Giovanni XXIII.
Fino a quel momento il termine usato nel linguaggio ufficiale della chiesa cattolica per definire la propria posizione, rispetto sia alle altre confessioni cristiane che alle altre religioni e al mondo agnostico era coesistenza. Oggi noi, appartenenti a religioni diverse, ricerchiamo il dialogo, desideriamo superare i limiti angusti della semplice coesistenza, ma dobbiamo riconoscere che in questo campo siamo appena usciti dall"età della pietra", stiamo appena imparando i rudimenti di un dialogo autentico.
Non dobbiamo allora stupirci se, al di là degli entusiasmi e della buona volontà, constatiamo che il dialogo resta ancora oggi unoperazione difficile, un cammino pieno di incognite e di paure, ostacolato da ambiguità ereditate dai secoli della cristianità e della conseguente tendenza allesclusione dellaltro, allemarginazione del diverso. Ci muoviamo ancora con andatura incerta e a volte ondeggiante, condizionati da paure, che ci portano a riaffermare la nostra identità contro gli altri e a loro spese, oppure tentati di assimilare gli altri senza rispettarli nella loro diversità.
Credo sia pertanto opportuno ricordare, anche solo brevemente, alcune "norme" preliminari, costituenti una sorta di "deontologia del dialogo". Senza questa attenzione e serietà si rischia solo di creare confusione o, peggio ancora, di pronunciare parole che il nostro interlocutore di altra religione percepisce come approssimative se non errate, svianti o addirittura offensive. Anche recentemente abbiamo avuto conferma nel fatto che i monaci buddisti cingalesi si sono sentiti offesi dalle pagine che Giovanni Paolo II nel suo Varcare le soglie della speranza dedica alla "via religiosa" del buddismo. Questo è solo un episodio più appariscente di una realtà molto più diffusa e quotidiana: abbiamo vissuto troppo a lungo nella coesistenza "pacifica" e nellignoranza dellaltro, quando non nel conflitto e nel disprezzo reciproco, per non pagarne ancora oggi le conseguenze.
DEONTOLOGIA DEL DIALOGO
Nel dialogo autentico si rivelano insufficienti lentusiasmo del cuore e la spontaneità: è necessario un vero e proprio percorso ascetico, una disciplina severa, un paziente e faticoso lavorìo. Riassumo qui, molto schematicamente, le regole di questa deontologia del dialogo:
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Occorre mettersi in ascolto dellaltro accettandone lalterità, la diversità e verificandone la disponibilità al dialogo stesso.
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È necessario, anche se difficile, lasciare che sia laltro a definirsi, accettare la sua autolettura, accogliere questa "consegna" che egli fa di se stesso e della propria tradizione: solo così possiamo conoscerla in modo autentico. Non dobbiamo presumere di saper descrivere laltro: finiremmo, anche senza volerlo, per darne unimmagine riduttiva, falsa, espressione di un giudizio derivante dalle nostre convinzioni e soprattutto dai nostri parametri culturali.
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Definire se stessi a partire dalla propria identità culturale e religiosa. Questo è particolarmente importante per noi cattolici perché siamo soliti, con il pretesto delluniversalità, ad inglobare tutto: è una tendenza allet-et, al sommare tradizioni diverse e a volte incompatibili senza mai operare scelte discriminanti, rifuggendo laut-aut. È una forma di "voracità" teologica, in cui non si rispetta la peculiarità dellaltro ma lo si scimmiotta per rafforzare la propria posizione onnicomprensiva.
Ma questo non è dialogo, è indifferentismo alla ricerca di consensi irreali, di convergenze inesistenti. Senza sentire le proprie radici non si può essere autentici interlocutori: essere fedeli al proprio retroterra ed esserne oggettivamente portavoci è condizione perché il dialogo non si riduca a uno scambio di vedute personali, ma divenga confronto tra tradizioni e mondi religiosi e culturali diversi.
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Ammettere unuguaglianza, una pariteticità fra interlocutori nel percorrere e vivere il dialogo. Pur nella convinzione che la sua è la vera fede, il cristiano non deve temere le difficoltà che incontra e le obiezioni che suscita; deve, al contrario, ricordare che laltro costituisce la rivelazione di quanto a lui non è stato dato, la manifestazione di un dono che viene dallalto.
Daltronde la storia, spazio di incontro e di dialogo, è il luogo obbligato per la conoscenza del dono di Dio. Si tratta di procedere nellaccoglienza e nel confronto, evitando sia la tentazione dellinclusione di ragionare cioè come se tutti fossero "inclusi" nella chiesa che quella dellesclusione, come se gli altri non avessero nulla a che fare né niente da dire alla chiesa.
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Il dialogo richiede una povertà che esclude ogni autosufficienza e conduce ogni credo a una kenosis, uno svuotamento. Il cristiano non deve temere questo abbassamento perché sa che lo Spirito Santo offre agli uomini tutti, attraverso vie che Dio solo conosce, la possibilità di essere associati a quello che noi cristiani chiamiamo il "mistero pasquale".
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Infine, chi vuole praticare il dialogo fuori del proprio spazio di appartenenza confessionale non può dimenticare che dà prova della sua retta intenzione con la capacità di dialogo e di comunicazione nei confronti di quelli che appartengono alla sua stessa tradizione. Chi infatti pratica un dialogo "presbite" con coloro che sono lontani da lui, ma è incapace di dialogare con chi gli è vicino, non potrà mai essere credibile.
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