CAMMINI DI CHIESA
VALENCIA CANO,
VESCOVO E PROFETA SCOMODO
Il vescovo Gerardo Valencia Cano non amava titoli onorifici. Voleva essere chiamato fratello, non monsignore. Nel porto di Buenaventura lo chiamavano affettuosamente fratello maggiore, (mocio nel gergo locale) perché visse il suo sacerdozio missionario come un servizio di fratello.
LULTIMA INTERVISTA (9 OTTOBRE 71)
Le piace essere chiamato il "vescovo rosso"?
Se con questo vogliono mettermi al livello del popolo, sì mi piace. E se con questo nome ispiro più confidenza ai poveri, allora sono felice.
Fu sorpreso quando lo hanno chiamato per la prima volta il "vescovo rosso"?
Penso di no, forse perché sono profondamente socialista. Penso che il socialismo sia una risposta alla natura dellamore di Dio, che dovrebbe ispirare tutte le relazioni umane.
Pensa che possa essere utile per la Colombia la visita del presidente Salvatore Allende?
Nessun dubbio in proposito. Penso che il cambio avvenuto in Cile, con la nomina di Allende, sia stato un passo in avanti verso la realizzazione di una nuova America che, in un modo o nellaltro, dovrà diventare socialista.
Che futuro politico vede per la Colombia?
Il futuro immediato è un po oscuro. Nessuno dubita che la tormenta annunci la tempesta, però sappiamo che, dopo la tempesta verrà la calma. Limportante è che i responsabili della tempesta siano sufficientemente umani e ragionevoli per evitare spargimento di sangue.
Perché il progresso di Buenaventura avanza così lentamente?
La causa principale è il sistema socio-economico in cui vive il mondo doggi.
Lultima intervista è paradigma di un uomo con il carisma della comunicazione e del dialogo. Parlava spontaneamente con tutti quelli che lavvicinavano: giornalisti, politici, scaricatori del porto, casalinghe, operai& sempre pronto ad una parola di incoraggiamento, di speranza e di solidarietà. Portava sempre con sé un quaderno, su cui nei momenti liberi scriveva la buona notte, un programma giornaliero che trasmetteva personalmente su Radio Buenaventura.
Credeva sinceramente nel dialogo. Per lui dialogo non significava semplicemente dire quello che pensava, senza lasciarsi influenzare: era una ricerca sincera della verità. Non era un dialogo limitato ai problemi religiosi, ma si apriva ai sindacalisti, agli impresari& dialogava con i neri, gli educatori, i politici. Condivideva le sue idee e si arricchiva di quelle altrui. I suoi scritti e i discorsi erano imbevuti della vita del popolo, con le sue angustie. Amava riunirsi frequentemente con i suoi preti, con la commissione pastorale e con i vari gruppi con cui era a contatto, per chiedere consiglio ed animare il lavoro.
Era solito dire che lUniversità di Buenaventura era il ponte del Pinal: il passaggio obbligatorio dalla terra ferma allisola in cui si trova il centro della città, il punto di confluenza dei mercati e dei traffici fra il porto e la costa del Pacifico: "Il ponte del Pinal è lUniversità di Buenaventura, perché in nessun altro posto si conosce meglio la realtà della gente della costa: la sua storia, il suo presente e il suo futuro, la sua condizione di oppressione ed i mezzi per liberarsene".
"LALTERNATIVA" NEL PENSIERO DI VALENCIA CANO
Nella complessa situazione socio-economica dellAmerica latina, il pensiero del fratello Gerardo conserva la sua attualità perché ha saputo trovare unalternativa, a partire dalla realtà della cultura nera in cui viveva. Il successo del capitalismo apre le porte al neoliberismo ed alla globalizzazione, sotto il controllo degli stati forti. Nel processo di globalizzazione, le vere necessità del popolo non contano e questo diventa drammatico per i poveri. Gli indios e i neri sono esclusi, scartati, devono necessariamente sparire perché il neoliberismo possa esistere. In altre parole: questo modello alimenta il proprio potere impoverendo le masse.
Tenendo presente questa realtà, fratello Gerardo parla di nuovi poteri popolari o alternativi che non hanno nulla in comune con la forza, la tecnica e la ricchezza. Si tratta di poteri fondati sulla natura stessa delluomo e proprio per questo superiori a qualsiasi altro potere, fondato sullapparenza o su forze che si impongono dallesterno: "Questi nuovi poteri popolari o alternativi si oppongono alle strutture ingiuste, che pretendono di conservare i privilegi di pochi& Lasciate che gli emarginati, indios, neri, contadini, studenti, casalinghe& discutano e programmino lintegrazione e vedrete che non fisseranno scadenze né di dieci, né di cinque o di ancor meno anni. Il povero è interessato a vivere".
Agli alfieri del capitalismo dice: "Gli ipocriti cantori della tecnica smetteranno di esaltarla come una divinità. I nuovi poteri di coloro che finora sono stati i nullatenenti si alzano minacciosi, puntando il dito contro il mondo degli oppressori".
Denuncia la nascita di un sistema di dominio a struttura internazionale, che si presenta come un sistema idolatrico, che rimpiazza il Dio della vita con idoli portatori di morte: "Di fronte al fallimento dei sapienti, dei forti, dei ricchi, si eleva un nuovo potere: quello degli ignoranti, dei deboli e dei poveri, sfidando Golia con la stessa fiducia con cui Davide si oppose al capo dei Filistei& Labilità dei sapienti non ha fatto nulla per debellare le disgrazie della nostra gente, mentre questa, nonostante gli stracci ed i pochi globuli sopravvissuti allanemia, ha scoperto che cè un potere liberatore invincibile, che distruggerà il sogno egoista".
IL DIO MOLOCH E IL DIO DELLA VITA
Moloch era una divinità che aveva bisogno di sangue umano per sopravvivere (Ger 32,35). Per Valencia Cano il capitalismo è come il dio Moloch, insaziabile nella sua sete di potere, di denaro e di morte:
"Che cosa possono fare i nostri poveri contro la pancia del grande Moloch? Ci sarà sempre scontro con gli interessi dei potere nordamericano. Che pace ci può essere tra la iena e il cane? Così fra il ricco e il povero. La ricca nazione del Nord ha scelto i suoi servi nelle nostre nazioni, per farne i propri agenti di difesa: i nostri governi continuano a credere che lOea (organizzazione degli stati americani) sia un servizio ai nostri paesi, mentre è una condanna che ci tiene legati al palo delloppressore&
LAmerica latina deve essere un continente senza frontiere, senza dogane, senza soldati e senza armi& I tori si combattono fra loro con le corna, i lupi con i loro denti: noi non possiamo combatterci, non abbiamo le corna o le zanne delle bestie feroci&
Lo sviluppo è il nuovo canto del capitalismo per addormentare le sue vittime. Noi invece parliamo di liberazione, perché siamo circondati dalloppressione& La società capitalista-neoliberale, pur con migliori intenzioni, è viziata dal peccato originale dellegoismo. Infatti sentiamo dire: purché io migliori la mia situazione, che importa se gli altri restano senza lavoro, che importa che ci siano meno maestri, meno scuole, meno fabbriche, meno strade?
Con il Dio della vita non si può barare. Dobbiamo scegliere: o siamo servitori del dio Moloch che è un dio di morte, di distruzione e di miseria; o siamo servitori del Dio di Gesù, il Dio della vita, della speranza e della fraternità. Non possiamo barare con la fede: crediamo o non crediamo&".
UN PRETE VERO
Dai suoi scritti: "Non confondo il sacerdozio con la povertà, però so che la povertà vissuta con sincerità e amore configura il sacerdote a Cristo, che non aveva dove posare il capo. Non confondo il sacerdozio con la politica, però so che in un momento come questo, per un paese cristiano come la Colombia, il prete deve essere per vocazione lievito per il cambio che ci aspettiamo (GS, 40); la sua parola e la sua azione, coraggiosamente evangeliche, devono essere luce per gli emarginati e sirene di allarme per coloro che dirigono. Non confondo il progresso materiale con il Regno di Dio, tuttavia so che il primo, in quanto può contribuire a migliorare la società umana, interessa molto al Regno di Dio (GS, 39)".
"Aggiornamento per me significa:
- sentire, come Cristo, il dolore delle moltitudini emarginate e la ribellione della nostra gioventù, imprigionata in strutture che devono essere riviste;
- sentirsi figlio della storia, però con lo sguardo verso il futuro e sentirsi attore nel dramma del mondo doggi con tutta la luce che gli dà il Vangelo;
- porre sforzo, audacia e sacrificio per raggiungere qualcosa di nuovo e di grande, come ci ha chiesto Paolo VI a Bogotà;
- aggiornarsi significa, infine, capire che il santo di oggi, nel nostro continente, sarà colui che sarà capace di fare sedere alla stessa mensa il ricco Epulone ed il povero Lazzaro".
PRIORITÀ PASTORALI
Nellazione pastorale del vescovo Gerardo, emergono due caratteristiche: una conoscenza chiara e profonda della situazione degli emarginati; un forte amore per la causa degli indios e dei neri.
Conosceva come pochi i problemi degli indios e dei neri. Si rendeva conto che le due culture non avevano ancora trovato il loro posto e la loro dignità negli schemi delle culture occidentali. Si ribellava quando vedeva che era ancora lungo il cammino da percorrere perché lautentico messaggio di Cristo potesse arrivare, senza deformazioni, agli indios e ai neri. Aveva anche timore che la chiesa non sapesse veicolare per loro lautenticità della Parola che salva. Per questo la sua vita fu un continuo avvicinarsi alla vita degli emarginati e visse nella sue pelle i loro drammi: "Quanto ho cercato di identificarmi con essi in tutto! Avrei voluto essere un vero indio o un nero dei miei fiumi". Una volta esclamò: "Quando vivevo fra i bianchi ero un prete bianco per i bianchi. Ora ho questo problema: come cessare di essere bianco?".
Non era un "teorico". La sua opzione per gli emarginati, soprattutto indios e neri, emerge nella testimonianza concreta della sua vita:
- non usava labito clericale e non portava né croce pettorale né anello per farsi più simile alla sua gente, fra cui si mescolava tutti i giorni: lincaricato della sua residenza racconta di aver rimpiazzato almeno 15 volte il materasso del vescovo, che ogni tanto spariva. Una volta era tornato a casa& senza le scarpe: le aveva regalate!
- salutava tutti e tutti lo salutavano: "Per favore, datemi un peso per pagare il bus", era la richiesta che faceva spesso alla sua gente, perché usciva preferibilmente a piedi e, quando era stanco e si accorgeva di non avere soldi con sé, chiedeva aiuto ai suoi "fratelli neri":
- soffriva per la miseria e lo sfruttamento, che toccava con mano, della gente del porto. Un giorno, mentre pranzava con un amico in un ristorante, un povero gli chiese la carità "per amor di Dio". Si alzò e gli cedette il suo posto, commentando: "Forse non mangia da ieri";
- soprattutto aveva una grande fiducia nella capacità dei poveri: "Quando si è poveri si è deboli. Però quando un povero unisce le sue scarse risorse a quelle dei suoi vicini, allora avviene il miracolo dellunione, che è vita. La necessità di risolvere i gravi problemi della mancanza di lavoro, dellanalfabetismo, delle malattie, della mancanza di abitazioni, fa comprendere ai poveri che cè un segreto infallibile che unisce più del denaro (se poi è vero che il denaro crea unione!) ed è la convinzione che ci unisce agli altri una fraternità molto più intima e più forte della fratellanza della carne: la nostra fraternità in Cristo e in Dio". Ancora: "La liberazione latinoamericana, se non vuole tradirsi, non può importare sistemi, ma deve trovarli nel cuore e nella mente dei suoi figli, vorrei dire: nel fondo delle sue valli e lungo le sue cordigliere. Cristo può insegnarci la vera liberazione, non quella importata, ma quella scoperta in seno ai popoli oppressi".
OLTRE LA COLOMBIA
Il vescovo Valencia pensava in grande. Dal porto di Buenaventura, posto a sentinella sul Pacifico colombiano, spaziava oltre le frontiere del suo vicariato e della sua nazione: pastore del "Bello Puerto", ma anche vescovo di tutto il mondo.
Ricordiamo brevemente i suoi interessi a largo raggio: ha fondato lUnione secolare missionaria, un movimento apostolico di laici, che ha realizzato notevoli programmi in Colombia e altrove; è stato il primo presidente dellUfficio missionario del Celam (Consiglio episcopale latino americano) e membro della Commissione episcopale del Celam per le missioni.
Sono legati al suo nome, come ispiratore e promotore, il 1° Incontro continentale missionario, (Melgar, Colombia, aprile 1968) e la Riunione continentale dei vescovi presidenti delle commissioni episcopali missionarie, (Caracas, Venezuela, settembre 1969). Programmò il 3° Incontro continentale missionario a Iquitos, che sarà diretto dal vescovo messicano Samuel Ruiz.
Non si trattava di incontri puramente amministrativi, ma di momenti in cui mons. Valencia propugnava nuove visioni e prospettive missionarie, diverse da quelle importate, più consone alla mentalità latinoamericana: per esempio, la promozione di leaders nativi; un nuovo tipo di ministero sacerdotale, non necessariamente celibe; la costituzione di giurisdizioni personali di carattere pastorale, sovranazionali, che tenessero conto delle aree culturali&
UN PROFETA PER LOGGI
Ad un confratello che lo interrogava sui programmi, rispose: "Non me ne preoccupo molto; il mio compito è di creare inquietudini; verranno altri per programmare".
Come pioniere, non poteva non essere contestato anche da qualche confratello vescovo. Uno di loro mi disse personalmente: "Il Padre se lè portato a casa in tempo, perché Roma stava per intervenire". "È il mio omonimo (lallora presidente della Colombia portava lo stesso cognome) che non mi sopporta più", commentava in un momento di tensione con le autorità politiche, quando correva voce che il presidente avesse chiesto alla S. Sede la sua destituzione.
Non lho incontrato personalmente, perché ho lavorato a Buenaventura alcuni anni dopo quel tragico 21 gennaio 1972, quando laereo della Satena si schiantò contro il monte S. Nicolò, con il "vescovo rosso" ed altri 38 passeggeri a bordo, in volo da Medellin a Buenaventura. Solo in piccolissima parte ho calcato le orme di mons. Valencia, nel porto e nei villaggi sperduti lungo i fiumi Anchicayà, San Juan, Cajambre, Yurumangi e Naya. Più volte ho avuto loccasione di nominare il "fratello Gerardo" con la gente. Non ricevevo parole di risposta, ma solo occhi umidi, lacrime di nostalgia, di rispetto, di amore.
Con loro, anche noi lo ricordiamo per le sue scelte coerenti e le sue chiare indicazioni:
"Cambia te stesso e sarà il primo passo per lumanità. Non aspettare che altri facciano quel passo prima di te. Forse il tuo contributo non vale quanto il tuo esempio".
"Evangelizzare significa impegnarsi perché luomo sia un vero uomo, perché evangelizzare vuol dire cercare la somiglianza di Cristo, luomo perfetto".
"Il male peggiore in questi paesi democratici è che mentre pochi si ingrassano fino a scoppiare, la maggioranza è stanca di non avere il necessario".
"Vi parla uno che ha pianto con lindio la scomparsa della sua razza ed ha pianto con il nero il disprezzo per la sua razza".
"Questo sistema priva la comunità delle proprie responsabilità".
"Fino a quando sopporteremo tanta ingiustizia? Il denaro può fare tutto? Devono sempre perdere i poveri? Gli sforzi uniti compiono il miracolo. Chi può impedire lunione dei deboli?".
"Lindipendenza latinoamericana esige anche una libertà culturale, oltre che, ovviamente, la libertà politica ed economica".
"Il bello nella vita dei santi non è ciò che tu, Signore, dai loro in prestito, ma ciò che essi fanno con i tuoi prestiti".
STEFANO BERTON
QUANTO HO CERCATO
DI IDENTIFICARMI CON LORO!
Sognavo di essere missionario fra gli indios. Lo sono da più di ventanni e sono felice di esserlo. Quanto ho cercato di identificarmi con loro: essere totalmente indio o un nero dei miei fiumi.
Più il prete si avvicina a Cristo, più si avvicina agli uomini suoi fratelli, anche se sono pubblicani o peccatori, scribi o farisei& Per conoscere Dio è necessario conoscere luomo e bisogna amare luomo per poter amare Dio.
Il Regno annunciato da Cristo soffre violenza ed occorre un coraggio non ordinario per rinunciare a se stessi, comè richiesto; perdonare, comè esigito; sacrificarsi per lamico, comè indicato& La vocazione di evangelizzare i poveri porta con sé il dovere di denunciare le ingiustizie e le ipocrisie di coloro che impongono carichi pesanti agli altri, mentre essi neppure li toccano con un dito.
Mi sento timido con i poveri, perché non so che cosa dire loro. Invece, quando mi trovo con i grandi, non ho nessuna paura di dire loro la verità.
G. VALENCIA CANO
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