PASQUA DENTRO LA GUERRA:
UNA RIFLESSIONE PER I CREDENTI

di MassimoToschi

  

Offriamo ai nostri amici una riflessione proposta nella veglia pasquale: perché mai come oggi percepiamo la distanza tra i nostri comportamenti e la parola della croce. 

Con la "teologia della guerra" abbiamo colpevolmente dimenticato lEvangelo della pace, per giustificare gli stati nelle loro politiche mortifere di guerra. 

I discepoli abbandonano Gesù perché non accettano il suo comando di "rimettere la spada nel fodero" e dunque il suo annuncio di un Messia povero, pacifico e sofferente. 

Viviamo unora in cui si producono sepolcri, guardati a vista dai soldati. Siamo tutti prigionieri e guardiani di una logica mortifera. 

"Una via della pace che passi per la sicurezza non cè. La pace infatti deve essere osata" (Benhoeffer).

Il Signore chiede ai suoi discepoli di stare, al cuore dei conflitti, forti solo della parola inerme della fraternità: che ha il caro prezzo della croce.

 

Questa è lultima pasqua del secolo. Un secolo segnato dalla guerra: non solo le due grandi guerre mondiali, ma le infinite guerre regionali. La guerra è diventata come la cifra di questo secolo, una guerra che ha cambiato qualità, non più guerra di soldati contro soldati, ma guerra di soldati contro civili. Decine e decine di milioni di vittime innocenti hanno gridato a Dio in questo secolo il loro patire e la loro innocenza. Valga per tutti il segno osceno dellatomica di Hiroshima, con tutto quello che ha significato e significa&
E poi il 24 marzo è iniziata loperazione forza determinata, organizzata dalla Nato contro la Serbia per la questione del Kossovo. Ciò che era stato più volte minacciato è diventato realtà: i paesi della Nato e dunque anche lItalia hanno avviato unoperazione militare pesantissima, i cui esiti sono imprevedibili e incalcolabili. È la prima pasqua che celebriamo nella guerra.
Come ogni guerra si è voluta giustificare, ma le parole che vengono usate hanno talora il sapore della menzogna, del calcolo politico, della retorica di comodo, e comunque gli eventi di ogni giorno le rovesciano drammaticamente.
Si è detto che si voleva evitare una catastrofe umanitaria e invece la si è moltiplicata con effetti devastanti, che si voleva impedire la pulizia etnica e invece con labbandono dei 1500 osservatori dellOsce tutto è stato possibile, che si voleva imporre il trattato di Rambouillet e invece la prima bomba lha stracciato in un attimo.
Cè stata come una eterogenesi dei fini di questa guerra, per cui essa produce e moltiplica proprio ciò che vuole combattere. Anche noi siamo non solo spettatori, ma corresponsabili di questa guerra, perché il nostro paese è coinvolto, perché la nostra classe dirigente, da sempre distratta e assente sulle grandi e delicate questioni internazionali, non è stata capace di offrire un contributo decisivo per anticipare e prevenire il conflitto e si è adeguata senza fatica, anzi con lostentazione di chi finalmente è divenuto grande, alle scelte dellalleanza.

Tutto questo interpella la fede dei credenti, perché mai come oggi percepiamo la distanza tra i nostri comportamenti e la parola della croce.
Siamo entrati in questa santa settimana in cui celebriamo il mistero della passione, morte e resurrezione del Signore, con le incessanti notizie dei bombardamenti, promossi e avvallati anche dal nostro paese. È davvero una pasqua nella guerra e di fronte alla guerra.

 

IL GIOVEDÌ SANTO

Nel giovedì santo abbiamo celebrato lEucarestia nel gesto di Gesù della lavanda dei piedi, là dove egli depone la sua vita e la riprende di nuovo, quando compie il gesto dello schiavo, che depone le sue vesti e le riprende di nuovo, dopo aver lavato i piedi ai discepoli.
Nella notte dellEucarestia si compie lo scandalo dei discepoli, profetato da Gesù prima di andare al monte degli ulivi. E questo scandalo si compie quando Gesù dice: "Rimetti la spada nel fodero, perché tutti quelli che mettono mano alla spada periranno di spada. Pensi forse che io non possa pregare il Padre mio, che mi darebbe subito più di dodici legioni di angeli? Ma come allora si adempirebbero le Scritture, secondo le quali così deve avvenire& ma tutto questo è avvenuto perché si adempissero le Scritture dei profeti. Allora tutti i discepoli, abbandonatolo, fuggirono".
I discepoli abbandonano Gesù perché non accettano il suo comando di rimettere la spada nel fodero e dunque il suo annuncio di un Messia povero, pacifico e sofferente. Noi nelle stesse ore abbiamo sfoderato la spada, disobbedendo in modo assoluto ad una sua parola, detta al cuore dellistituzione dellEucarestia e della sua passione.
Certo le nostre azioni sono raramente perfetta rappresentazione dellEvangelo e solo per grazia. Ma oggi la distanza, il contrasto è fortissimo, fino ad essere insopportabile. Nasce dal credere che quando il conflitto è più grande si possa mettere tra parentesi lEvangelo, per cercare vie più efficaci e risolutive, ma in realtà sperimentiamo anche sul piano fattuale che lunico realismo è quello dellEvangelo, perché cambia la storia nel profondo e non solo in superficie.
Non cè conflitto tra ragione e Vangelo, perché la ragione delle vittime, di chi la guerra non la dichiara ma la sopporta, grida sempre la pace e non la guerra: sa che la guerra non risolve i conflitti, ma ne prepara di successivi, a causa del seme di odio che attraverso di essa viene gettato e produce frutto.

 

IL VENERDÌ SANTO

Il venerdì santo abbiamo contemplato il mistero dellagnello sgozzato, di Gesù il vero agnello di Dio. Gesù di fronte a Pilato afferma: "Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto, perché non fossi consegnato ai giudei, ma il mio regno non è di quaggiù".
Qui egli vuole indicare che la logica del Regno di Dio è radicalmente diversa da quella dei regni del mondo e rifiuta la guerra e le armi. Gesù è davvero lagnello sgozzato che ha fatto la pace per mezzo del sangue della croce. Per questo egli è la pace e ha abbattuto il muro dellinimicizia e ha fatto dei due popoli un solo popolo.
Oggi il mistero dellagnello sgozzato è presente in tutti quelli che sono sgozzati a causa della guerra, che sono feriti e uccisi dalle bombe, che sono deportati e subiscono violenza in Kossovo per scelte che altri hanno imposto ed essi hanno subito.
La morte di Gesù è oggi visibile nella morte degli innocenti e la grande azione liturgica della passione, là dove Dio partecipa della morte delle vittime facendosi egli stesso vittima, ha la sua perfetta esegesi negli avvenimenti dei Balcani. Anche lì come sul calvario i soldati crocifiggono gli inermi, ciascuno per un giusto motivo, chi per salvare lorgoglio di una nazione, chi con una causa anche nobile, per affermare i diritti umani.

Davanti al Crocifisso, allagnello sgozzato, noi credenti dobbiamo riconoscere il nostro peccato e fare penitenza e come le donne sulla via del Calvario batterci il petto: perché abbiamo costruito una teologia della guerra, abbiamo legittimato luso delle armi, abbiamo benedetto gli eserciti, abbiamo dunque portato il nostro granello di incenso allidolo che produce morte. E lidolo, adorato, genera i suoi frutti tragici.

Tutto quello che oggi serve per giustificare questa guerra ha il suo fondamento nellantica teologia, anche se oggi è cambiata la qualità della guerra, non più guerra di soldati contro soldati, ma guerra di soldati contro civili. Anche la difesa dei diritti umani viene assorbita in questa antica teologia con la dottrina dellingerenza umanitaria.
Davanti al crocifisso noi dobbiamo chiedere perdono, perché abbiamo tradito e tradiamo il Vangelo, il Vangelo della pace, la buona notizia che feconda la terra. Alla fine di questo secolo, di fronte alla guerra sta il Crocifisso e con lui tutte le vittime, da Abele fino ai bambini del Kossovo.
Noi cristiani abbiamo oggi le mani insanguinate di sangue innocente, del sangue sparso in questa guerra e in quello sparso in tutte le guerre di questo secolo, tutte benedette e giustificate dai credenti, per poi riconoscerle come inutile strage, secondo la parola di Benedetto XV nel 1917.
Papa Giovanni aveva compreso tutto questo, quando nella Pacem in terris nel 1963 aveva detto che "nellera atomica è irrazionale considerare la guerra come strumento per risarcire i diritti violati".
Noi abbiamo colpevolmente dimenticato queste parole, per giustificare gli stati nelle loro politiche mortifere di guerra, sperando così di contare di più, sedendo alla tavola dei potenti della terra.

 

IL SABATO SANTO

Al cuore del mistero del sabato santo siamo di fronte al sepolcro chiuso. Fino a questo punto si pone il senso dellincarnazione di Gesù, che è rivelazione del mistero trinitario. Se la morte ha sfigurato lumanità per il peccato, limmagine dellumanità può essere ricostituita solo nel punto di rottura stesso: la morte, lAde, la perdizione nella lontananza di Dio.
Come è stato scritto, "La parola di Dio nel mondo è diventata muta, nella notte. Essa non chiede più di Dio; essa giace sepolta nella terra. La notte che la copre non è una notte di stelle, ma una notte di desolazione profonda e di alienazione mortale". È la notte dellabisso, è la notte della nientità. La notte che noi vediamo nei Balcani è la notte degli uccisi, dei deportati, degli abbandonati, è la notte dei bambini che piangono il loro presente, degli anziani che non finiscono di patire, delle donne che nella pena dubitano della vita. È anche la nostra notte, la notte del nostro fallimento.
Cè dunque un rapporto tra ciò che accade nei Balcani e il sabato santo. Quando muore Gesù, che era la parola, la manifestazione di Dio e la sua comunicazione si interrompono. Questo nella storia ha la sua visibilità nella guerra, che è sempre lantidio. Se "lo scandalo della croce non può essere eliminato" (Gal 5,11), se "la croce di Cristo non può essere svuotata" (1 Cor 1,17), questo significa che Gesù ha vissuto lesperienza di una completa assenza di Dio, cioè lesperienza di tutto il peccato del mondo come dolore e sprofondamento.
E allora cè un rapporto tra il sepolcro di Gesù, la sua discesa agli inferi, nel luogo della suprema lontananza e maledizione, e la condizione di chi è costretto ad abbandonare in Kossovo la sua terra, di chi è ucciso, di chi è espropriato della sua identità e storia a causa di una guerra che ha il volto dellabisso, che ha la misura dellinferno.
Noi non siamo estranei a questo abisso e a questo inferno, avendo anche noi pensato che la guerra è lextrema ratio per quella terra. Ma se la guerra è lextrema ratio, è in realtà lunica ratio, quella che impone poi le sue leggi terribili e mortifere.
Oggi noi sperimentiamo solo la notte della guerra, senza che si possa intravedere minimamente la fine di questa notte, anzi si ha limpressione che la notte non sia ancora giunta alla metà del suo corso.

 

IL VANGELO DELLA RESURREZIONE

Essendo immersi in questa storia, solidali con il peccato del mondo, ci accostiamo al Vangelo della resurrezione. Matteo ha una sua particolarità: egli lega fortemente la resurrezione alla croce. Al momento della morte di Gesù, egli nota "che il velo del tempio si squarciò in due da cima a fondo, la terra si scosse, le rocce si spezzarono, i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi morti risuscitarono. E uscendo dai sepolcri, dopo la sua resurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti" (Mt 27,51-54).
I verbi della narrazione sono tutti nella forma del passivo. Questo suggerisce che il protagonista di quanto avviene è Dio: le cose che accadono sono il segnale del suo intervento; i quattro segni sono strettamente legati insieme, mostrano il significato della croce.
La rottura del velo del tempio è strettamente congiunta al terremoto che scuote la terra e spacca le rocce, e alla resurrezione dei morti. In questo modo la fine del tempio non è considerata isolatamente, quasi a se stante, ma come un particolare della fine del vecchio mondo e della nascita del nuovo.
È di fronte a questi segni che si pone la confessione del centurione sul Calvario. Egli riconosce nella croce di Gesù una teofania di Dio che nella sua potenza svela il senso della debolezza della croce. Ma Matteo vuole dimostrare con questi segni che se la nostra resurrezione viene dopo quella di Gesù, tuttavia egli la pone accanto alla croce.
Nello scorrere del tempo la resurrezione viene dopo, ma la sua ragione sta accanto alla croce. La resurrezione, quella di Gesù come la nostra, è il frutto della croce. La croce è il momento della nascita del nuovo mondo, non semplicemente la tappa che lo precede, ma proprio listante in cui il nuovo mondo si affaccia.

 

IL RUOLO DEI SOLDATI AL SEPOLCRO

Rispetto agli altri evangelisti, Matteo sottolinea il ruolo delle guardie. Già nel racconto della crocifissione egli nota che i soldati "stavano là seduti, a fargli la guardia". Poi si parla di una iniziativa di Pilato per garantire una custodia militare al sepolcro, in modo che nessuno lo potesse manomettere. È un drappello romano, che poi darà testimonianza di quanto è avvenuto ai sommi sacerdoti.
Dunque per tre volte di parla, a proposito del sepolcro di Gesù, del ruolo dei soldati come custodia, quasi a garanzia della sua effettiva morte e sepoltura. Questa sottolineatura dellevangelista ci turba oggi particolarmente, perché vediamo in queste ore troppi soldati vicini a troppi sepolcri, addirittura intere città sono ridotte a sepolcro. E i bombardamenti produrranno inevitabilmente sepolcri. Cè come una verità in questo legame tra i soldati e i sepolcri. Essi hanno il compito di sigillarli e di custodirli, saranno costretti a dover annunciare che lamore è più forte della morte e il Risorto spezza il sepolcro e la logica che continuamente lo produce.
Proprio perché il sepolcro è controllato dai soldati, le donne non vanno per lunzione, non possono compiere un gesto di pietà, ma "per visitare il sepolcro", per vedere la tomba, attratte dalla memoria di colui che vi è stato sepolto. Ci vanno il primo giorno della settimana, allalba, quando la notte sta finendo e la luce del sole comincia a sorgere. E sono sorprese da un evento apocalittico: "Vi fu un grande terremoto: un angelo del Signore, sceso dal cielo, si accostò, rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa. Il suo aspetto era come la folgore e il suo vestito bianco come la neve".
Matteo ci dice con queste annotazioni che la resurrezione è un evento apocalittico come la morte di Gesù: il segno del terremoto accomuna i due eventi, che si illuminano reciprocamente. Al centro della scena cè un angelo che ha i segni della teofania. Il suo aspetto sfolgorante e il vestito bianco lo fanno accostare al "figlio delluomo" glorioso, incaricato del giudizio di Dio, di cui parla il profeta Daniele. Non è una descrizione del risorto, ma questo angelo rimanda implicitamente allaspetto glorioso di un corpo armai trasfigurato.
Langelo, linviato di Dio interviene presso al tomba di Gesù con un gesto potente che indica la vittoria sul regno della morte. La tomba, che rappresenta il segno visibile dello sheol, della morte, è aperta; la grande pietra sigillata e controllata è fatta rotolare via e linviato del Signore vi si siede sopra come eroe vittorioso.
Langelo invita le donne spaventate dalla teofania che spezza la morte a non temere, mentre le guardie tremano (è sempre il verbo che indica il terremoto) e "divengono come morte", assolutamente impotenti a intervenire. Qui Matteo non ci descrive la resurrezione di Gesù, ma ci dà le chiavi per comprendere levento. Egli non ci dice che Gesù risuscita in quel momento, ma che le guardie erano perfettamente inutili. Non è sigillando il sepolcro che si possono arrestare le energie della resurrezione, che spezzano il potere della morte alla radice, nei cuori e nella storia.

 

SIAMO TUTTI PRIGIONIERI IN UN SEPOLCRO GUARDATO DAI SOLDATI

Ecco, i soldati e il sepolcro non sono la cifra ultima del destino di Gesù, ma è la potenza della resurrezione che rompe i sepolcri e riduce allimpotenza chi li produce e chi li custodisce. I soldati e il sepolcro non sono i padroni di chi muore, di chi è rinchiuso dalla logica della violenza che uccide il mondo.
Con la pasqua la potenza della resurrezione entra nella storia, nelle sue fibre più profonde, e le trasfigura con energie di pace e di speranza. Questo è il senso dellannuncio dellangelo: "So che cercate Gesù il crocifisso, non è qui. È risorto, come aveva detto; venite a vedere il luogo dove era deposto. È resuscitato dai morti e ora vi precede in Galilea, là lo vedrete".
Queste parole spiegano il senso dellevento pasquale: Gesù, il crocifisso, è risorto, non giace più nella tomba, nel luogo gelido della morte; e danno la missione alle donne di andare in fretta dai discepoli e dire che Gesù è risorto e li attende in Galilea.

Cè un contrasto infinito, che solo Dio può colmare, tra le parole dellangelo alle donne e lora che viviamo, unora in cui si producono sepolcri, guardati a vista dai soldati. Sono prigionieri in un sepolcro i deportati ai confini con lAlbania e la Macedonia. Pristina e il Kossovo sono un grande sepolcro, ma anche Belgrado e la Serbia, e così la Nato, lEuropa, gli Stati Uniti: tutti prigionieri e guardiani di una logica mortifera. E anche noi, che vorremmo essere pacifici e invece siamo solo pieni di omissioni verso i fratelli.
Il Risorto, apparendo alle donne che stanno correndo verso gli apostoli, sigilla il messaggio pasquale dellangelo. Ad esse che si prostrano ai suoi piedi per adorarlo, egli dice: "Non temete, andate ad annunziare ai miei fratelli, che vadano in Galilea e là mi vedranno". Nella forza della parola del Risorto, i discepoli divengono i suoi fratelli: la fraternità è la nuova condizione inaugurata dalla resurrezione di Gesù. I discepoli sono invitati a ritornare in Galilea, per ricominciare di nuovo il Vangelo, per essere gli evangelizzatori della fraternità, per annunciare a caro prezzo il mistero del Risorto, in modo che tutte le donne e gli uomini della storia siano accolti e custoditi nella fraternità di Gesù.
Bisogna ritornare nella Galilea delle genti, terra mista, terra impura, là dove si incontrano e si scontrano i popoli e lì portare la parola della fraternità del Risorto.
E oggi la Galilea ha innanzitutto il volto e il nome del Kossovo, dei Balcani, ma anche di tante altre parti del mondo dove la violenza sembra non finire mai. Il Signore chiede ai suoi discepoli di stare lì, al cuore dei conflitti, forti solo della parola inerme della fraternità, una fraternità che ha il caro prezzo della croce.

 

ALCUNE CONCLUSIONI

Nellultima pasqua del secolo, nella pasqua dentro la guerra non ci sono parole consolatorie per noi; cè solo la parola di Gesù che giudica, cè levento della resurrezione, che annuncia che la morte e la violenza non sono più lultima parola sulla vita di ciascuno.

In questora, così drammatica per le scelte insensate che molti fanno compresi noi, e anche così luminosa per la luce del Risorto, il Signore ci chiede semplicemente, come ai discepoli, di vivere la fraternità e di andare in Galilea, anzi di vivere la fraternità a caro prezzo in Galilea, là dove le genti si mischiano, si dividono, si odiano, si uccidono.

La fraternità non è unideologia o una dottrina, è il dono del Risorto e per la sua grazia è possibile viverlo. Nel 1934 Bonhoeffer, commentando il salmo 85, il salmo della pace caro a Giovanni XXIII, così si esprimeva allinizio dellorgia nazista: "Allobiezione la guerra crea la pace, la chiesa risponde tu non uccidere. Allobiezione la guerra genera la pace, la chiesa risponde non è vero, genera lannientamento& Una via della pace che passi per la sicurezza non cè. La pace infatti deve essere osata. È un grande rischio e non si lascia mai e poi mai garantire. La pace è il contrario della garanzia. Esigere garanzie significa diffidare e questa diffidenza genera di nuovo guerra. Cercare sicurezze significa volersi mettere al riparo. Pace significa affidarsi al comandamento di Dio: non volere alcuna garanzia, ma porre nelle mani di Dio onnipotente, in un atto di fede e di obbidienza, la storia dei popoli".
La pace è oggi la misura storica della fraternità pasquale e il Signore continuamente la dona ai suoi figli e fratelli, anche e soprattutto quando essi vivono lo scandalo della guerra. Stasera nella veglia pasquale invochiamola per i Balcani, per i bambini, le donne, gli anziani, le vittime vive del Kossovo, ma invochiamola anche per noi, sempre pronti ad onorare lidolo della guerra. E finalmente Dio, per la preghiera delle vittime, per la preghiera dei santi, e anche per la nostra indegna e povera preghiera di peccatori, renda possibile ciò che appare impossibile agli uomini di questora, unalba di pace: unalba di pace in quella parte martoriata dEuropa, dove oggi cè la signoria della guerra, e in tutti i luoghi del mondo dove la violenza sembra sovrana.

 

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