di Marino Ruzzenenti
Per capire ciò che sta avvenendo bisogna ripartire dal disfacimento della Jugoslavia. Laffrettata disgregazione fu il frutto delle risorgenti spinte nazionalistiche, benedette troppo spesso dalle diverse appartenenze religiose, ma anche della pretesa dellOccidente di imporre il modello dello stato-nazione, fondato sul popolo (germanico, italiano, francese&) ad una realtà che è stata per millenni unamalgama inestricabile di etnie, culture, religioni diverse, dove tracciare confini capaci di delimitare il territorio in funzione dei diversi popoli con comune identità linguistica, culturale e religiosa era assolutamente impossibile, se non a costo di conflitti laceranti.
LEuropa ha assistito con compiacimento, quando non ha esplicitamente favorito, la dissoluzione della Federazione jugoslava, lunico modello statuale che avrebbe potuto contenere questo puzzle, semmai da rinnovare e da adeguare alla nuova situazione post-comunista, rafforzando i processi democratici interni e gli spazi di autonomia ed autogoverno (e vi erano mille modi per farlo, dalla cooperazione economica agli scambi politici e culturali). Ma lEuropa ha scelto quella politica nefasta per meschini calcoli di influenza e di dominio su unarea da sempre contesa allegemonia degli slavi e della Russia, da quando i Balcani cominciarono a liberarsi dal giogo dellimpero ottomano. Non sembrava vero di poter rioccupare questo ponte strategico sullOriente, che per quarantanni Tito aveva mantenuto unito ed indipendente, autonome perfino dal blocco sovietico. Ma si sapeva che questo avrebbe scatenato inevitabilmente in quella polveriera le forze più aggressive e nazionaliste, che avrebbe lasciato libero il campo a personalità e governi autoritari (il serbo Milosevic, il croato Tudjman, il bosniaco Itzbegovic, i leader albanesi dellUck), campioni dellesaltazione esasperata dei diritti del proprio popolo e disposti alla pulizia etnica nei confronti delle altre minoranze, costretti alle migrazioni forzate (a turno e nei diversi territori vi sono stati così profughi croati, bosniaci, serbi, albanesi). E si sapeva da anni che dopo la Slovenia, la Croazia e la Bosnia sarebbe venuto il turno del Kosovo, e forse domani del Montenegro o della Macedonia. Su due punti quel testo è oggi improponibile: sulla prospettiva prevista di un referendum dopo tre anni per lindipendenza del Kosovo (sarebbe come ipotizzare un referendum analogo nel nostro Alto Adige o nella Corsica francese) e sul fatto che la forza militare per garantire lattuazione degli accordi e quindi dello statuto di autonomia riconosciuto ai kosovari fosse la Nato. Lintervento di questa parte belligerante ha infatti clamorosamente dato ragione ai serbi nel non ritenere la Nato possibile mediatrice imparziale.
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