IL SÉ IN VACANZA:
INCONTRARE LALTRO
O SE STESSI?
ALBERTO BOSI
A prima vista, lunica motivazione possibile di un viaggio sembrerebbe quella in senso lato utilitaria di cercare qualcosa che non abbiamo "qui" e speriamo di trovare "altrove". Certo, se lo prendiamo in senso lato, è questo il fattore alla base di ogni tipo di viaggio, ed anche dello stesso turismo. Però non ci dice molto, proprio come non ci dice molto il sapere che alla base della cucina cè lesigenza di mangiare. Il dato biologico è condizione necessaria del dato culturale, ma non lo spiega nella sua determinatezza, non ci dice perché il viaggio assuma volta per volta proprio queste e non altre caratteristiche.
VIAGGIARE PER ANDARE ALTROVE
Possiamo approfittare delloccasione per tracciare una prima distinzione importante, quella tra turismo ed emigrazione: il primo essenzialmente temporaneo, la seconda più o meno definitiva. Questo sembra essere il discrimine principale, sul quale tutti gli autori sono daccordo, mentre non tutti sono daccordo nel distinguere tra viaggio daffari e di divertimento. Del resto, del tutto netto non è neppure il discrimine di cui sopra: di solito lemigrante pensa di tornare prima o poi, anche se alla fine non ci riesce. Noi italiani, che fino a ieri eravamo un popolo di emigranti, rischiamo di dimenticarci troppo presto cosa sia lemigrazione, e quanta importanza abbia avuto nella nostra storia recente. Gli storici dellemigrazione parlano di due fattori: il "fattore di spinta" (ad esempio una guerra, una carestia come quella famosa dellIrlanda alla metà dell800) e il "fattore di attrazione" (ad esempio una prospettiva economica che si offre oltremare): evidentemente la motivazione è massima, quando i due fattori si sommano.
Anche gli animali migrano; le loro migrazioni, sia quelle stagionali che quelle permanenti, costituiscono una delle forme fondamentali di adattamento allambiente. Quanto alluomo, esso è da sempre lanimale più adattabile, tanto è vero che non cè continente ad eccezione dellAntartide dove non lo si trovi già da tempi remoti. I nostri lontani progenitori del resto, più che emigrare, semplicemente si spostavano; anche spostandosi solo di dieci chilometri allanno potevano percorrere in mille anni diecimila chilometri.
VIAGGIARE PER CONOSCERE
Contrariamente a quello che il buon senso potrebbe suggerire, la motivazione in senso lato utilitaria non è affatto lunica del viaggio. NellUlisse omerico (e ancor più in quello dantesco), troviamo unaltra motivazione: la conoscenza. A dire la verità lUlisse omerico viaggia per ritornare a casa, a Itaca, dalla moglie; ma il suo desiderio di conoscenza lo mette continuamente nei guai anche se poi lo salva la sua stessa vivacità intellettuale, di cui la sua curiosità è espressione . Si sa, luomo è un animale curioso. Non è detto però che questa curiosità sia sempre del genere più elevato, quel puro desiderio di sapere che Aristotele mette a fondamento della filosofia; molto spesso si scopre che la curiosità che spinge molti a viaggiare, è di quello stesso genere un po ozioso che spinge altri a fare collezione di pettegolezzi sul conto dei vicini. In realtà, più che di un semplice desiderio di conoscenza, dovremmo parlare di un desiderio di fare esperienza; quindi anche di sentire, di agire, di partecipare, di sentirsi protagonista o spettatore di fatti importanti, di poter dire "io ero là".
Anche qui potremmo parlare, accanto al "fattore di attrazione" rappresentato dalla curiosità, di un "fattore di spinta" anchesso di tipo psicologico, che possiamo identificare con uninquietudine o irrequietezza: si direbbe squisitamente moderna, se non ne trovassimo già ben chiare tracce negli antichi, ad esempio in poeti latini come Catullo oppure Orazio; quellirrequietezza della quale il già citato Chatwin tenta lanatomia nella sua opera. Unirrequietezza che si è espressa ad esempio con la spettacolare espansione della civiltà europea a partire dal tempo delle grandi scoperte geografiche. È vero che i navigatori e ancor più i mercanti e i conquistadores non erano affatto dei romantici: non affrontavano pericoli per puro amore di conoscenza, non cercavano neppure tanto nuovi mondi, quanto nuove vie per raggiungere le terre delloro e delle spezie: quindi la ricchezza ed eventualmente la gloria propria, del loro re, della loro fede.
Del resto, linquietudine e il desiderio di scoprire il nuovo e insieme, con il passare del tempo, laspirazione al ritorno alla natura, ad una primitività incontaminata si manifesta anche in altre forme, essenzialmente disinteressate, come ad esempio quel fenomeno tutto occidentale che è lalpinismo e in genere lesplorazione delle zone selvagge dellEuropa stessa. In effetti, che cosa cè di più anti-utilitario del correre rischi spesso mortali per salire in cima ad una roccia battuta dal vento, se non per il gusto della conoscenza (il panorama che si domina, le osservazioni naturalistiche), e soprattutto per dimostrarsi capaci di imprese che non a tutti riescono?
Se il vero inizio dellalpinismo si colloca nel 700, possiamo cogliere i primordi dellatteggiamento moderno già alcuni secoli prima, in un personaggio emblematico come il Petrarca, il quale, in una celebre epistola, descrive lascesa compiuta con il fratello al monte Ventoso (Ventoux) che domina la Provenza. Lo stesso Petrarca racconta come arrivato in cima alla vetta del monte, aprisse a caso le Confessioni di santAgostino, che portava sempre con sé, e leggesse un passo (Confessioni, X, 8,15) che sarebbe eccellente come contro-propaganda turistica: "E vanno gli uomini a contemplare le cime dei monti, i vasti flutti del mare, le ampie correnti dei fiumi, limmensità delloceano, il corso degli astri e trascurano se stessi". Né questo né altri passi ispirati alla saggezza antica e cristiana del "conosci te stesso" sono stati però sufficienti a curare linquietudine dellanima del Petrarca, e tanto meno linquietudine dellanima moderna, con il suo corrispettivo di irrequietezza esteriore, della quale lattuale turismo di massa, avviato a diventare la prima industria nel mondo, sta oggi cogliendo i frutti.
Uninquietudine che era tuttaltro che ignota a certi antichi, ma che nelle condizioni di vita moderne, anzi contemporanee parliamo in particolare di questo secolo è diventata fenomeno di massa, da fenomeno di élite che era, certo in connessione con le moderne condizioni di lavoro e di vita: la rivoluzione industriale con la sua spersonalizzazione del lavoro, laccelerazione frenetica dei ritmi di vita, e, come altra faccia della medaglia, linvenzione del "tempo libero", del quale il turismo è il principale protagonista.
Tra 400 e 600, il modello di vita delle classi superiori non era ancora landare, ma lo stare; lo stare nel luogo (la corte) che si presentava come la sintesi di tutti i più alti valori umani (estetici, politici, etici), nei pressi di quel "sole" che distribuiva luce, calore, e più concretamente favori, stipendi, incarichi prestigiosi, in una cornice di palazzi e giardini che configurano una specie di paradiso in terra. Ma, proprio negli stessi anni, andava sorgendo in Inghilterra un modello alternativo per le classi superiori ormai non più solo nobiltà, ma ceti patrizio-borghesi il modello del Grand Tour, che sostituiva alla formazione centrata sulla vita di corte una specie di pellegrinaggio laico, base di una formazione pragmatica, dinamica, fondata sulla conoscenza del mondo. Sulla scia di questo modello, si sarebbe sviluppato quello che noi oggi chiamiamo turismo. Certo allinizio si trattava di un fenomeno di élite, che però sin già dal 700 iniziava a specializzarsi in vari settori, ad esempio le cure termali, in seguito i bagni di mare, lalpinismo, ecc.
Dallo sviluppo sempre più ampio di una civiltà, di una cultura borghese che aveva bisogno di simboli propri di inclusione e di esclusione, emerge quello che oggi chiamiamo turismo. Esso presuppone i moderni trasporti di massa, e non a caso una delle date più significative della sua storia pare essere linizio degli anni 40 dell800, quando il predicatore battista Thomas Cook ebbe lintuizione che il viaggio in treno poteva essere usato non solo per andare a predicare, ma anche per combattere il vizio del bere. E fu linizio di quella che ancor oggi è una tra le più grandi agenzie turistiche del mondo.
ANDARE PER ANDARE
Abbiamo parlato di uninquietudine di fondo, come di una malattia oscura dellanima europea, dovuta certo a qualche profonda frattura da essa subita nella propria storia. Sullo sfondo di questinquietudine, possiamo capire meglio il fenomeno per cui il puro andare non per stare altrove, non per conoscere, neppure per vera curiosità diventa completamente fine a se stesso: quellideale del puro movimento che è stato espresso nel modo più incisivo da On the road di Kerouac: la vertigine dellincessante cambiamento, dellacceleratore continuamente premuto, senza che si sappia bene dove o perché si sta andando: limportante è andare, spesso andare il più forte possibile. Mito della frontiera, volontà di potenza a buon mercato, istinto faustiano-tecnologico, volontà di tagliare i ponti col proprio passato, di "ricominciare daccapo" si mescolano in questo atteggiamento, che troviamo costantemente nei film americani.
Di fronte a questo comportamento più che mai diffuso tra giovani e meno giovani, occorre osservare due cose. In primo luogo, non bisogna avere paura di ripetere lammonimento di Agostino a proposito di coloro che trascurano la conoscenza di se stessi. Fuggire se stessi può essere talora una buona tattica abbiamo tutti bisogno di lasciarci andare ogni tanto, di allentare la tensione ma non è mai una buona strategia, una buona norma di vita.
In secondo luogo, occorre che qualcuno spieghi a tutti noi, americani e americanizzati, che comunque non esiste più alcuna frontiera da violare, alcun "altro posto" selvaggio e deserto dove andare. Nellattuale mondo ormai ridotto veramente ad una "aiuola" con buona pace dei viaggi interplanetari, "il viaggio, diventato turistico, è ormai come il misurare la cella del detenuto che cammina su e giù dove altri prigionieri altrettanto mobili e liberi hanno già lasciato il solco. Quel che una volta ci permetteva di trovare la nostra libertà, ora serve a rivelare i nostri ceppi" (J. Leed, La mente del viaggiatore). Altre, non puramente geografiche, sono ormai le nuove sfide, le nuove frontiere, anche se la maggior parte della gente pare non essersene accorta.
LA PATETICA CORSA VERSO LO SPAZIO
La cosiddetta conquista dello spazio, che ha senzaltro anche aspetti seri di ricerca scientifica, ha però anchessa un aspetto quasi patetico di unumanità che, abituata a proiettarsi fuori di sé, non riesce a fermare il proprio slancio in tempo (proprio come il Titanic; forse il successo del film si può spiegare anche con questo diffuso presagio di catastrofe) e non si accorge che il gioco è cambiato, che lo spazio interplanetario è semplicemente la continuazione del cortile di casa. La recente trasmissione televisiva di Piero Angela, Viaggio nel cosmo, che pure ha destato un notevole interesse nel pubblico, penso che sotto un certo aspetto abbia deluso. Rocce, sassi, ghiacci e masse incandescenti; viene voglia di chiedersi: tutto qua? In fondo, erano più interessanti gli astri-dei degli antichi, la luna del poeti, o anche gli astri di un secolo fa, che la fantasia degli astronomi e degli scrittori di fantascienza come Verne popolava di uomini di vari colori. Verso la fine del secolo scorso ci si immaginava lesplorazione del cosmo come una naturale continuazione dellesplorazione della terra. È duro accettare la solitudine delluomo nel cosmo: tanto duro, che astronavi ed extraterrestri spuntano da ogni parte nel cinema e nelle nostre fantasie, fino a costituire una quasi religione.
Limmagine più importante di un secolo così denso di avvenimenti epocali, credo che rimarrà la fotografia della Terra fatta dagli astronauti al rientro dalla prima missione lunare. Nessun uomo aveva mai visto prima dallesterno, dal vuoto dello spazio, il nostro pianeta, il pianeta vivente, con i suoi veli di aria e di vapore, con i colori degli oceani e dei continenti, danzare nel buio immobile del cosmo; il nostro pianeta, la sede di quel miracolo stupefacente e fragilissimo che è la vita, miracolo del quale noi stessi facciamo parte. Come se qualcuno volesse dirci: questo è lunico posto dove potete abitare; abbiatene cura, non distruggetela perché se la distruggete non avrete altro posto dove andare. Ma non sembra che il messaggio sia stato gran che recepito.
ANATOMIA DELLIRREQUIETEZZA
Secondo alcuni autori, limpulso a spostarsi anzi a camminare è quasi inscritto nella nostra costituzione genetica (questa lipotesi di fondo dellinteressante libro di Bruce Chatwin, Anatomia dellirrequietezza), quale eredità delle centinaia di migliaia di anni nel corso dei quali luomo è stato essenzialmente un cacciatore-raccoglitore, che si spostava continuamente per inseguire le proprie prede, alla ricerca di nuovi e migliori territori di caccia e di raccolta.
Più recentemente, in contrapposizione alle civiltà agricole e sedentarie in formazione, si è creata una nuova forma di vita sociale (anzi quasi una civiltà alternativa, secondo lo stesso Chatwin), quella del nomade puro, che basandosi esclusivamente sullallevamento accompagna i propri animali nelle migrazioni stagionali da un pascolo allaltro.
Ciononostante, il viaggio nella misura in cui si imponeva la necessità di spostarsi è stato vissuto dai popoli sedentari più come condanna, come esilio.
A.B.
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