IL DIALOGO
ENZO BIANCHI Continua la rubrica iniziata nel numero di ottobre. Il prossimo mese: "prospettive concrete di dialogo oggi". TRE TAPPE SIGNIFICATIVE Cosè dunque successo di nuovo in questi ultimi anni? Riporto tre tappe che mi sembrano significative per mostrare il cambiamento radicale di mentalità inaugurato dal Vaticano II. Nel 1972, la Commissione Teologica Pontificia Internazionale, guidata dal card. Ratzinger, elaborò un documento su Lunità della fede e il pluralismo teologico1 (formulato dallo stesso Ratzinger) secondo cui ci sono tre livelli da tenere sempre presenti: lunicità della fede, la pluralità delle espressioni di fede e la pluralità delle teologie e delle liturgie. In particolare, la proposizione 9 sottolineava che il dato della fede deve ogni volta essere ripensato, riformulato, rivissuto allinterno di ogni cultura umana, e che solo dopo questo processo potrà avere la sua espressione. È il principio fondamentale che in campo missionario dovrebbe costituire la struttura, il sistema della missione: qualunque dato, fosse anche un dato del credo, va ripreso, ripensato, riformulato, rivissuto allinterno delle diverse culture, e solo a quel punto avrà diritto di espressione. Certo, si tratta di affrontare un discorso non facile: significa, ad esempio, riconoscere che il credo nella sua formulazione nicena ha valore solo per il mondo mediterraneo, per la cultura latina e greca, mentre non può più valere per i popoli di altri continenti, a cui deve essere permesso di trovare altre formule, pur conservando lunicità della fede. Nel 1985, il Sinodo dei vescovi sanzionò che la pluriformità è una vera ricchezza e porta con sé la pienezza che costituisce la vera cattolicità. Infine, il 27 ottobre 1986, la giornata di Assisi, ha dato realizzazione alla volontà concreta di incontro tra le varie religioni nel dialogo e nellamicizia. LE PROFONDITÀ DEL DIALOGO È fin troppo chiaro che per un vero dialogo bisogna escludere lintolleranza, la mancanza di interesse per laltro (oggi forse più nociva dellintolleranza) e il proselitismo; ma, nello stesso tempo, occorre anche che il dialogo porti ad una reale conoscenza dellaltro, da intendersi nel significato più profondo del verbo conoscere, co-nascere: io conosco chi accetto che nasca con me nel cammino che percorro; accetto di rinascere con lui e che lui rinasca con me; laltro cessa di essere un lui e diventa un tu2. Per il dialogo non serve solo lo scambio di parole, è necessaria la complicità dellessere in uno spazio di amicizia, uno spazio di grande capacità di ascolto e di volontà di fare qualcosa insieme. Mohamed Talbi3, musulmano, professore di islamologia alluniversità di Algeri, afferma che con il dialogo si ritrova intera lesigenza di missione autentica, ma sotto una forma purificata dalle scorie della polemica, del proselitismo generatore di cecità: lapostolato diventa allora apertura verso laltro, ricerca incessante della verità e pura testimonianza: il nostro dovere di missione consiste nel camminare insieme tenendo alta la verità, perché spetta solo a Dio convertire. Dobbiamo prendere coscienza che il pluralismo religioso sta diventando il nostro orizzonte storico: anche se ha un significato che oggi ci sfugge, rientra nel piano di Dio, perché è questo pluralismo religioso che concede allo Spirito Santo la possibilità di agire per la salvezza in un modo che solo Dio conosce (GS 22). A questo proposito, due testi biblici mi sembrano fondamentali. Il primo è 1Tm 2,4: Dio "vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità". Si tratta di un testo che ricorreva frequentemente nella patristica fino al 3º secolo e che era stato dimenticato dopo la svolta costantiniana; è stato ripreso solo ultimamente, soprattutto dal 1975 in avanti, e oggi è un brano molto commentato. Il secondo è At 10,34-35, in cui Pietro dice: "Mi rendo conto in verità che Dio non fa preferenze di persone e che, in ogni popolo, chiunque pratichi la giustizia trova accoglienza presso di lui". IL DIALOGO È LA RISPOSTA ALLA NOSTRA VOCAZIONE Tutto questo discorso non può far dimenticare la singolarità del cristianesimo, una ricchezza che può diventare un grosso ostacolo nel rapporto con le altre religioni. Noi crediamo che Cristo sia destinato a tutte le genti (Mt 28,19): di conseguenza, il cristianesimo si presenta con la pretesa di essere la fede che un giorno tutti gli uomini della terra riconosceranno. Questa pretesa non significa superiorità! Sarebbe un errore rivendicare una superiorità deccellenza, errore del resto fatto almeno fino al Vaticano II dalla chiesa cattolica nei confronti anche delle altre chiese cristiane: prima del concilio, infatti, le altre chiese non venivano nemmeno considerate tali. Il gesto compiuto da Paolo VI a Costantinopoli nel 1967, di chiamare le altre chiese "chiese sorelle", ha costituito unimportante svolta, perché laffermazione implicava che la chiesa cattolica non si considerava più la "madre" delle altre4. La singolarità del cristianesimo rispetto alle altre religioni è, quindi, una singolarità relativa: i cristiani possono e devono affermare che la loro religione possiede caratteristiche tali da poter salvare tutti gli uomini, ma questo non significa affermare una superiorità. Il cristianesimo, inoltre, ha una responsabilità maggiore nel dialogo, essendo lunica religione che annuncia un Dio che si è fatto uomo per dialogare con luomo. Per lebraismo e per lislam Dio resta Dio, il Tre volte santo separato dagli uomini. Per il cristianesimo, invece, il dialogo è la risposta alla nostra vocazione: senza il dialogo il cristianesimo non esiste perché predica il dialogo di Dio con lumanità fino alla sua incarnazione. Il dialogo ci precede e ci costituisce. Il dialogo, quindi, è prima di tutto una nostra necessità. Notiamo che si tratta di un dialogo asimmetrico: il cristianesimo deve andare verso le altre religioni povero di cultura, deve portare alle genti un Cristo il più possibile nudo e lasciare che esse lo rivestano con i panni delle loro tradizioni. Il nostro errore fino ad oggi è stato di cercare lincontro carichi della nostra civiltà, cioè senza cercare realmente il dialogo con laltro: dialogare, invece, è lunica possibilità di rispettare il piano creazionale. La vera icona del missionario è la Visitazione: Maria porta in grembo il Cristo, che non ha neanche il nome di Gesù, a Elisabetta che a sua volta porta in grembo Giovanni, ovvero la profezia del Verbo; allarrivo del Lógos la profezia trasale e luno conferma laltro: in questa icona si realizza lincontro di Cristo con tutto ciò che lo precede. Siamo così condotti ad un altro concetto chiave nel dialogo, quello di scambio. Paolo in 2 Cor 5,18 dice che a noi è dato il "mistero della riconciliazione" (tèn diakonían tes katallages): questa traduzione è però fortemente difettosa perché katallásso significa scambio. Si dovrebbe dire: noi abbiamo il ministero dello scambio. Quando Dio ha riconciliato il mondo in Cristo ha fatto, in Cristo, uno scambio con il mondo. Il teologo Przywara, maestro di von Balthasar, ha scritto un testo straordinario su questo argomento5, nel quale mostra come noi credenti abbiamo il ministero dello scambio, cioè dobbiamo scambiare il Cristo nudo e povero con la sophía delle genti. Il vero atteggiamento missionario deriva dunque dallessere nel mondo per attuare lo scambio in Cristo, fra la profezia, la sophía delle genti, e la Parola di Dio fatta salvezza.
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